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lunedì 29 aprile 2024

Ludwig

Titolo originale: Ludwig
Nazione: ITA+FRA+GER(BRD)
Anno: 1973
Genere: Storico, Drammatico, Biografico
Durata: 230'
Regia: Luchino Visconti
Cast: Helmut Berger, Trevor Howard, Romy Schneider, Silvana Mangano, Adriana Asti

Trama:
Incoronato re a soli 18 anni, l'ingenuo e sognatore Ludwig von Wittelsbach sale al trono di Baviera carico di romantiche passioni: quella, non ricambiata, per la cugina e imperatrice d’Austria Elisabeth, quella per la musica di Wagner, artista che sovvenziona, e quella per i castelli, per cui spende una fortuna. Il suo Consiglio dei Ministri apre un’inchiesta per destituirlo e...

Commenti e recensione light:
Comunemente indicato come ultimo film della cosiddetta "trilogia tedesca", Ludwig è, a mio avviso, solo un altro e splendido capitolo di quella fase cinematografica in cui Visconti rappresenta, con immenso rimpianto, il crepuscolo di un mondo vecchio e dai valori sfioriti. Per mostrarci al meglio lo splendido affresco di una Mitteleuropa decadente, all'indomani del processo di quell'unificazione tedesca così simile, nei suoi effetti sulla nobiltà, a quella dell'unità di casa nostra, il regista distilla quasi all'eccesso il suo già raffinatissimo gusto estetico toccando vertici mai più raggiunti dal cinema italiano e regalandoci una ricostruzione sontuosa ed elegante di quel profondissimo (melo)dramma umano e sociale.
Visconti, come tanti altri registi, ha cercato più volte di creare un suo alter ego di celluloide ma nessuna delle sue splendide copie è mai stata più vicina al suo ideale quanto il magnifico Helmut Berger che qui, con grazia singolare, dona all'infelice sovrano una consistenza intensissima. Grazie a lui tutti i temi cardine di Visconti, l'amore-passione, la seduzione mortuaria, le ossessioni del potere, l'omosessualità, il rapporto tra arte e vita, assumono significati nuovi, trascendentali eppure profondamente umani, nella più pura contraddizione decadentista.
Impossibile (ed imperdonabile) sarebbe non citare anche l'ormai adulta Romy Schneider che magistralmente rappresenta, e non soltanto interpreta, quell'Elisabetta d'Austria che è molto più che semplice spettatrice d'eccezione dell'affresco dei castelli di Ludwig, ne è musa e tormento insieme. Le sue due notti col sovrano, insieme all'incontro con l'attore shakespeariano ed il suo azzeccatissimo riferimento ai figli della Luna di Platone, sono certamente i punti più alti di questo capolavoro.
Ludwig è un film da vedere e rivedere (evitando però accuratamente la mutilata versione di solo tre ore circolata fino al 1980) perché è un concentrato della poetica viscontiana, suo vero e proprio testamento artistico - coltissimo, ambiguo, decadente ed autodistruttivo - ma anche e soprattutto perché è una straziante lettera d'amore (e d'addio!) per una civiltà di cui il regista si sente profondamente orfano e che, con struggente affetto, vuole immortalare per noi, piccoli e miseri posteri.

domenica 11 luglio 2021

Ed Wood

   

Titolo originale: Ed Wood
Nazione: USA
Anno: 1994
Genere: Commedia, Biografico
Durata: 126'
Regia: Tim Burton
Cast: Johnny Depp, Martin Landau, Patricia Arquette, Sarah Jessica Parker, Juliet Landau

Trama:

Lo squattrinato Edward D. Wood Jr dirige una scalcinata compagnia di teatro con una sola speranza nel cuore: debuttare un giorno nel mondo del cinema. Grazie all'amicizia con il grande (ma ormai decaduto) Bela Lugosi riesce a farcela... anche se passerà alla storia come il regista dei peggiori film della storia.

Commenti e recensione:
In pieno stato di grazia a livello creativo e reduce dai sucessi dei suoi due Batman e del supercult Edward Mani di Forbice, per esprimere al meglio tutta la sua poetica dark Tim Burton decide di dedicarsi al progetto di Ed Wood. Costruisce quindi un’opera dolcemente malinconica ed al contempo davvero divertente, un sincero omaggio a quei freak, da lui tanto amati, che vivono ai margini delle regole e delle convenzioni più comuni, mostrandoci uno spaccato più oscuro della dorata Hollywood, dove spesso i sogni rimangono dolorosamente tali.
Il risultato è un bellissimo omaggio a Wood: al suo coraggio, la sua intraprendenza, il suo amore per il cinema nonostante gli scarsissimi risultati. Burton si è appropriato della sua storia e lo trasforma in un inventore di illusioni, creatore di un proprio universo ed incompreso poeta. Così come già si sentiva in The Nightmare Before Christmas, guardando Ed Wood non si può che rimanere ammirati, mentre godiamo della sua capacità di giocare col cinema ed i suoi generi, della ricchissima cultura (e non solo cinefila) di Burton!
Ed Wood è una tragicommedia con una splendida fotografia in bianco e nero (che richiama molto bene il cinema dell’epoca), una colonna sonora un po’ sinistra ma piacevolmente bizzarra, scenografie kitsch e stravaganti e, soprattutto, personaggi strampalati interpretati da un cast eccezionale. Parlando di Burton è ovvio che il ruolo principale spetti a Johnny Deep che, onestamente, lo interpreta beinissimo ma è Martin Landau, un meraviglioso Bela Lugosi, che ha meritatissimamente vinto l'Oscar come miglior attore non protagonista. Per noi cresciuti sotto l'ala protettiva del Capitano Koenig di Spazio 1999, vedere un Landau così bravo ed emozionante finalmente riconosiuto per il suo vero vlore è stata una gioia indicibile!
Ed Wood intrattiene, emoziona, diverte ed offre dei momenti indimenticabili. È una dichiarazione d’amore al cinema, alla sua creatività ma soprattutto appassiona lo spettatore sul personaggio di Wood e la sua storia, incuriosendolo tanto da fargli venir voglia di vedere davvero i suoi film. E fidatevi, ne vale davvero la pena! :D

giovedì 6 febbraio 2020

Ethel & Ernest


Titolo originale: Ethel & Ernest
Nazione: UK
Anno: 2016
Genere: Drammatico, Animazione, Slice of life
Durata: 94'
Regia: Roger Mainwood
Soggetto: Raymond Briggs

Trama:
Ethel è una cameriera che aspira a migliorare la sua condizione quando si innamora del lattaio Ernest e lo sposa, mettendo poi alla luce il piccolo Raymond. I tre vivono nella Londra degli anni Quaranta nel periodo in cui i bombardamenti tedeschi seminano il terrore in città. Mentre Raymond viene mandato al sicuro in campagna, Ethel ed Ernest cercano nella vita di tutti i giorni di fare fronte alla guerra e...

Commenti e recensione:
Ethel & Ernest è un film definito "drammatico" ma questo è vero solo nel senso più antico del termine, quando stava ad indicare genericamente "storia" (ed infatti, i tre generi classici -tragedia, commedia e satira- erano tutti sottogruppi del drama). Non c'è "drammaticità" in senso moderno (e sicuramente non c'è "tragedia"!) in questo splendido capolavoro, solo le piccole e grandi cose della vita; ed è proprio per sottolineare questo concetto che preferisco usare il più nuovo termine Slice of life, magari già presente fin dall'Ottocento ma noto, alla nostra generazione, per l'uso raffinato e spesso poetico che ne hanno fatto gli autori giapponesi, con le loro tenui storie di normalità. Storie di vita quotidiana, come ce ne sono a milioni. (Stra)ordinarie.
Raymond Briggs ha confezionato un’opera intima e preziosa che ha giustamente scalato tutti i vertici editoriali britannici e, grazie alla bravura di Roger Mainwood che l'ha traslata su pellicola, ne ha fatto un film strabiliante che tocca nel profondo per la sua purezza, sincerità e dolcezza solo narrando di due persone meravigliosamente ordinarie, i suoi genitori. Londra è guardata dalla finestra di una casa in periferia, l’occhio non si sposta mai per un secondo dal microcosmo familiare, l’affiatamento ed il legame sono illustrati e narrati con emozione ed è molto toccante osservare come la vita sociale e politica di una generazione che ha vissuto tutto il novecento venga assorbita e commentata da una coppia che, dopo anni di matrimonio e amore, sa ancora stupirsi ed apprezzare ogni piccolo gesto. Di Raymond Briggs, e della sua deliziosa grafica dal tratto eloquente ed i colori che rendono perfettamente i toni agrodolci della narrazione, ricorderete forse il bellissimo Quando soffia il vento, animato da Murakami nell'86. Come quello, anche Ethel & Ernest è per un pubblico adulto ma è sempre toccante e straordinario al contempo. Le piccole e grandi preoccupazioni e gioie sbocciano su un fertile supporto di linee e colori, di suggestioni che scaturiscono da un tratto sfocato, da un contorno appena abbozzato. Della rispettosa messa in scena dell’opera di Briggs (uno sforzo artistico ed economico che lascerà un segno nella storia dell’animazione inglese) resteranno senza dubbio i fondali accurati e minuziosi, i colori pastello, questa sorta di solare e vivace realismo da illustratore/paesaggista, ma anche i tratti tremolanti che catturano la vecchiaia malandata di Ethel e di Ernest, quella velata, pudica e pietosa trasparenza che suggerisce il dolore e la morte senza enfatiche sottolineature, in un contrasto grafico/estetico commovente, straziante ed illuminante. Ancora una volta, l’animazione di qualità si dimostra uno straordinario strumento di rappresentazione, idealmente privo di limiti e confini.
Ethel & Ernest è un inno alla tenerezza, arte viva, pura e, senza ombra di dubbio, una vera magia per gli occhi ed il cuore; da vedere assolutamente! :D

martedì 15 ottobre 2019

La banda Baader Meinhof


Titolo originale: Der Baader Meinhof Komplex
Nazione: GER
Anno: 2008
Genere: Drammatico
Durata: 149'
Regia: Uli Edel
Cast: Martina Gedeck, Moritz Bleibtreu, Bruno Ganz, Alexandra Maria Lara, Johanna Wokalek

Trama:
Negli anni Settanta Ulrike Meinhof, giornalista borghese e progressista, si unisce al gruppo armato guidato da Andreas Baader per protestare contro la guerra in Vietnam e l'imperialismo, sostenuto dalle istituzioni tedesche nelle quali ancora agiscono uomini dal passato nazista. L'uomo che più li comprese fu anche il loro più irriducibile cacciatore: Horst Herald il capo delle forze di polizia, che...

Commenti e recensione:
È stato definito dalla critica "un lavoro imperfetto" ma La banda Baader Meinhof è un film di grande complessità. Riesce a tenere un buon ritmo per tutta la sua lunga durata (quasi due ore e mezza), coinvolge nel modo giusto e fa riflettere sul rapporto tra i personaggi in scena ed il contesto storico di riferimento. Concitato e profondo, nonostante qualche ridondanza, il film ha dalla sua, oltre ad una colonna sonora notevole e scene d’azione da cardiopalma, una confezione davvero accurata. Il cast stellare teutonico (e dintorni), in notevole forma, propone gli attori più sulla ribalta al momento, scelti e ritoccati così bene da somigliare veramente ai personaggi originali. In particolare meritano una menzione i due protagonisti, Moritz Bleibtreu, che interpreta il carismatico, folle Andreas Baader e, soprattutto, la grandissima Martina Gedeck (Ulrike Meinhof) in evidente stato di grazia.
Il film non vuole instillare morali e, pur nella sua complessità di cronistoria, spesso offre ricche introspezioni nelle ragioni, sogni e frustrazioni di una generazione. La ricostruzione storica, ma soprattutto l’attenzione alla ricostruzione delle azioni della banda, risuonano di un realismo oculato e mai palesemente di parte. Il regista la chiama Drammaturgia a pezzi, un racconto che non esalta gli eroi ma descrive le azioni, dei terroristi quanto dello Stato. Ci riesce anche evitando esaltazioni stilistiche, quali dolly o particolari movimenti di macchina, è infatti la macchina a mano a regnare sovrana, quella "camera-stylo" che trascrive il fatto, la cronaca, e fa rivivere allo spettatore la violenza di una manifestazione bagnata di sangue dalla polizia, una fuga ad un posto di blocco o la vita quotidiana della clandestinità.
La banda Baader Meinhof osa raccontare, col maggior rigore possibile, una storia in Germania scomoda ancora oggi, dopo tanti anni, ed è stato infatti accolto da mille polemiche. Perché in qualche modo, ne escono tutti male: dai membri della Raf, che sembrano quasi farneticanti e confusi ideologicamente, ai militari, al sistema giudiziario ed ai politici. L’unico che si salva è, forse, il superpoliziotto interpretato da Bruno Ganz, evidentemente troppo vecchio per fare il terrorista e, qui, perfettamente nella parte. Ne uscirebbe male anche l'ex DDR, per il suo coninvolgimento in tutti quei fatti, ma il suo ruolo non viene quasi mai accennato. Peccato.
Tuttavia, a parte queste omissioni, il film di Edel resta un’opera onesta che ha il merito di offrire una contestualizzazione storica alla formazione della Raf, mostrando, tra l’altro, come l’organizzazione armata godesse di un ampissimo strato di simpatizzanti, soprattutto tra i giovani. La banda, infatti, raggiunse picchi tali di popolarità che fecero tremare i vertici di tutte le polizie segrete occidentali perché, secondo le stime, un tedesco (dell'Ovest, ovviamente) su quattro sotto i 30 anni tifava per i terroristi! Certo, il fatto che al governo ci fosse il Cancelliere Kurt Kiesinger, che fino al 1945 era stato membro del partito nazista (dove rappresentava il collegamento tra il ministero della Propaganda e quello degli Esteri, mica cotiche) non aiutava per niente. Inoltre, molti giovani non avevano mai perdonato ai propri genitori di essere rimasti indifferenti, quando non addirittura di avere contribuito materialmente, all’ascesa di Hitler. E non dimentichiamo che i regimi di Salazar in Portogallo, Franco in Spagna ed i colonnelli in Grecia continuavano a mietere vittime e non c'erano certezze che il fenomeno non si estendesse nel resto dell'Europa. Che in tanti, nella Bundesrepublik Deutschland, fossero sensibili alle idee della Raf non deve proprio stupire ma, evidentemente, ancora oggi per tanti è difficile parlarne. Un applauso quindi a Uli Edel, il regista caparbio che ha osato addirittura "invadere" il campo che, fino ad allora, era tutto di proprietà della von Trotta!
Meritatamente candidato al premio Oscar come miglior film straniero, va visto con molta attenzione ed assolutamente mostrato (e spiegato!) alle nuove generazioni che, di quel periodo, o non sanno nulla o, ed è pure peggio, ne hanno un'idea totalmente imprecisa.

martedì 18 luglio 2017

The Elephant Man


Titolo originale: The Elephant Man
Nazione: GB
Anno: 1980
Genere: Drammatico
Durata: 125'
Regia: David Lynch
Cast: Anne Bancroft, John Hurt, Anthony Hopkins, John Gielgud

Trama:
A causa di una malattia molto rara che gli ha dato sembianze mostruose, il giovane John Merrick viene esposto come "uomo elefante" nel baraccone di Bytes, un alcolizzato che campa sfruttando la sua mostruosità e lo tratta come una bestia. È qui che Merrick viene scoperto dal dottor Frederick Treves, un chirurgo del London Hospital che convince Bytes a cederglielo per qualche tempo in modo da poterlo studiare e curare. Portato in ospedale e presentato a un congresso di scienziati, John si rivela ben presto agli occhi di Treves come un uomo di intelligenza superiore e di animo raffinato e sensibile ma...

Commenti:
Dopo l’esordio con il visionario Eraserhead, divenuto in breve tempo un cult del circuito underground, David Lynch sforna nel 1980 The Elephant Man, probabilmente la sua opera più riuscita e toccante, che riesce a mettere d’accordo anche i detrattori più accaniti del regista. Le sequenze oniriche e inquietanti sulle quali baserà gran parte delle sue opere successive sono qui ridotte ai minimi termini, lasciando spazio al commovente e poetico racconto della vera storia di Joseph Merrick, un uomo inglese vissuto durante l’era vittoriana e affetto dalla Sindrome di Proteo. Il ruolo del protagonista fu affidato a John Hurt, reduce dal successo di Alien, che appena un anno prima lo vide protagonista delle celeberrima sequenza del “parto” dell’alieno. Per interpretare la parte di Joseph Merrick, certamente la più importante della sua memorabile carriera, l’attore britannico fu costretto a subire estenuanti sedute di diverse ore per l’applicazione e la rimozione del trucco, al punto da essere costretto a lavorare solo a giorni alterni per preservare la propria salute. Ad affiancare John Hurt nei ruoli più importanti furono chiamati Anthony Hopkins, ancora agli inizi della propria carriera, e Anne Bancroft, in precedenza già premio Oscar per Anna dei miracoli e soprattutto indimenticabile Mrs. Robinson ne Il laureato. La triste e malinconica parabola di The Elephant Man commuove e ci fa riflettere su quanto sia potente la minaccia portata dai pregiudizi e dall’ignoranza. “Gli uomini hanno paura di ciò che non capiscono“, disse lo stesso Merrick più di un secolo fa, ma ancora oggi ci troviamo ogni giorno di fronte a soprusi, cattiverie e violenze scaturite da caratteristiche fisiche o caratteriali che alcune persone misere non riescono ad accettare. The Elephant Man è quindi un film che mantiene inalterata la propria forza e che potrebbe tranquillamente essere ambientato e prodotto ai giorni nostri senza vedere minimamente intaccata la propria credibilità. David Lynch non indora la pillola, mostrando tutta la crudeltà e l’ipocrisia a cui possono arrivare le persone verso ciò che è diverso dal loro piccolo e ottuso mondo. Dal punto di vista tecnico, Lynch si affida a un bianco e nero che ha la duplice funzione di trasportarci idealmente in piena età vittoriana e di farci assaporare tutta la mestizia che traspare in ogni momento della pellicola. Cast perfetto in ogni sua componente, dal tormentato John Hurt al combattivo e addolorato Anthony Hopkins, passando per una Anne Bancroft più dolce che mai. Trucchi, scenografie e costumi sono curati alla perfezione, dando modo al regista di sfruttare tutta la sua maestria dietro alla macchina da presa. La toccante colonna sonora di John Morris completa un capolavoro senza tempo, davanti al quale anche per i più duri è difficile non sciogliersi in lacrime almeno una volta. Candidato a otto premi Oscar, questa pellicola scandalosamente non ne vinse nessuno, mentre Gente comune di Robert Redford ne portò a casa ben sei; mah. A mio avviso, quando si incontra un capolavoro, bisogna definirlo tale. Poi possiamo giocare a fare i critici algidi che cercano di demolire tutto affinché dalla distruzione si possa vivere un egocentrico momento di celebrità. Oppure si può essere onesti e dire serenamente, convintamente, che The Elephant Man è uno dei capolavori della cinematografia mondiale! :D


martedì 20 dicembre 2016

Per amore solo per amore




Titolo originale: Per amore solo per amore
Nazione: Italia
Anno: 1993
Genere: Commedia
Durata: 110'
Regia: Giovanni Veronesim
Cast: Diego Abatantuono, Alessandro Haber, Stefania Sandrelli, Penelope Cruz, Valeria Sabel

Trama:
In Palestina, un paio di millenni fa, Giuseppe è un uomo diverso dagli altri, ha in mente di visitare le città del mondo, Atene, Sparta, Damasco, Roma; vuole invecchiare camminando, vuole amare le donne. Si è fatto un'esperienza di vita nelle sue peregrinazioni con l'amico (muto) Socrate e ha deciso che il matrimonio non fa per lui. Non ha fatto i conti con la determinazione della giovane Maria, dal carattere solido, caparbio, sicuro, che si è invaghita di lui e...

Commenti:
Film molto natalizio, venne trasmesso regolarmente sulle reti Mediaset per diversi anni... prima che le feroci critiche teocon riuscissero ad affossarlo definitivamente. Invece "Per amore" va assolutamente rivalutato. Con una regia delicatissima e una storia (da un libro di Festa Campanile) che si srotola fluida, accompagnata, qua e là, dalla splendida voce fuori campo di Haber e dalla musica suadente di Nicola Piovani, è probabilmente il film più equilibrato e maturo di Giovanni Veronesi, che si è fatto assistere in sede di sceneggiatura dall’esperto Ugo Chiti, strizzando l’occhio a Monicelli e a Magni. Forse l'unico punto debole del film è la Sandrelli che, come spesso accade, riesce a recitare solo la parte di se' stessa (e, francamente, non si nota nessuna differenza tra la vedova di Nazareth e la farmacista del Maresciallo Rocca) ma ha un ruolo così marginale da non causare alcun danno. In compenso, se Diego Abatantuono si approccia al personaggio con dignità e rispetto, fornendone un bellissimo ritratto sfaccettato e completo, è Alessandro Haber, spalla memorabile, a fare di questo film un gioiello! Le ultime scene, di "Re Giuseppe" omaggiato da Socrates, con Maria e Gesù lontani e sfocati sullo sfondo, e la morte di Giuseppe con una corona di legno, meno dolorosa, ma solo fisicamente, di quella destinata a venire, meritano a mio (apparentemente isolato) avviso, un posto nell'album delle scene memorabili del cinema italiano. :D









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Dedico questo post alla nuova avventura di
che abbiamo seguito con grande interesse ai tempi del suo blog di ebook.
Buona fortuna, amico mio!!! :D

lunedì 19 gennaio 2015

Anna and the King


Titolo originale: Anna and the King
Nazione: USA
Anno: 1999
Genere: Drammatico, Storico
Durata: 148'
Regia: Andy Tennant
Cast: Jodie Foster, Chow Yun-Fat, Bai Ling, Anne Firbank, Tom Felton

audio/video: 10

Trama:
Nel 1862 Anna Leonowens, insegnante inglese da poco vedova, arriva nel Siam insieme al figlio adolescente. A Bangkok ha accettato di fare da precettrice ai 58 figli di re Mongkut, alla moglie ufficiale, alle concubine. Anna sa ben poco del sovrano siamese tranne che il suo popolo lo venera come un dio. Essere ammessi alla sua presenza e rivolgergli la parola sono azioni sottoposte ad una ritualità rigida e immutabile. Convinta dell'arretratezza di quel modo barbaro di vivere, Anna vuole mettere in campo la propria superiorità, fino a quando non si rende conto che anche il re la ricambia con le stesse sensazioni...

Commenti
Girato in Malesia (il governo tailandese non ha concesso alla produzione di girare entro i confini) il film è tratto da una storia vera ed è stato fatto con dovizia di particolari. Straordinarie le ricostruzioni degli ambienti come il palazzo reale di Bangkok grazie alla scenografa premio Oscar Luciana Arrighi, ma fantastici anche i costumi creati dalla costumista, anch'essa premio Oscar, Jenny Beavan. Un film costruito sulle parole e sulle immagini, oltre che sull'interpretazione dei due protagonisti. Che probabilmente forgiano l'anima dell'opera nel suo complesso. Non sarà privo di difetti (alcuni evidenziano un'eccessiva durata), ma la sua integrità merita di essere riconosciuta e premiata. :D

mercoledì 31 dicembre 2014

Si alza il vento






Titolo originale: Kaze Tachinu (風立ちぬ)
Nazione: JAP
Anno: 2013
Genere: Animazione, Drammatico, Biografico
Durata: 126'
Regia: Hayao Miyazaki
audio/video: 10

Trama:
Jiro Horikoshi è un ragazzo con la passione degli aeroplani che nelle sue proiezioni oniriche incontra il proprio idolo, il grande ingeniere aeronautico italiano conte Caproni, a cui confida di voler diventare anch'egli progettista. Durante l'università assisterà al terribile terremoto del '22 (scena che entrerà di sicuro negli annali del cinema!) e poi troverà lavoro alla Mitsubishi. Studiando la più avanzata tecnologia tedesca cercherà di mettere a punto qualcosa di ancora più innovativo, in grado non solo di colmare il gap che separa il Giappone dagli altri paesi ma anche di superarli. È in questo contesto che incontrerà l'amore della sua vita, la donna che lo accompagnerà nel processo creativo.

Commenti
C'è un'evidente identificazione tra il progettista di aerei e il disegnatore, il creatore di macchine e il creatore di sogni, un binomio che in Miyazaki, figlio di un ingegnere aereo, è particolarmente forte (quante volte nei suoi cartoni abbiamo visto meccanismi o veicoli volanti da lui inventati) e che trova momenti di rara bellezza nel sogno di Jiro e del conte Caproni (avendo le stesse aspirazioni i due si incontrano sempre nei medesimi sogni) ma forse anche dell'autore, di poter camminare liberamente sugli aerei mentre sono in volo. Jiro Horikoshi, è probabilmente il miglior personaggio maschile mai scritto dal regista e, non a caso appare come un alter ego di Miyazaki (a doppiarlo in originale è il suo altro gemello, Hideaki Anno), amante del volo ma schifato dalla guerra, sostenitore del fatto che gli aerei non debbano avere mitragliatrici ma autore dei modelli poi affidati ai kamikaze, un uomo che sogna un bombardiere caricato con famiglie invece che armi.
Eppure è nella seconda parte che il film scivola dolcemente nel melò e dove il maestro dà il meglio, con una storia d'amore lieve e commovente come suo solito ma anche più matura che in passato. Miyazaki torna a descrivere le emozioni più elevate, a raccontare lo splendore di essere vivi in questo pianeta, unito all'esigenza di continuare a vivere nonostante tutto, utilizzando uno stile che rifiuta il tratto grosso e si ostina a dimostrare come si possano toccare le corde più profonde e stimolare gli stordimenti emotivi più vertiginosi attraverso lo stile più delicato e sottile possibile.
Il testamento artistico di Miyazaki, che per la sesta e (pare) ultima volta ha annunciato il suo ritiro ç_ç, è la catarsi irrisolta, autobiografica e trasudante umanità di un pacifista che ammira la bellezza degli aerei da guerra, di un privilegiato che, al contrario di quasi tutti i suoi concittadini, non ha vissuto gli stenti della guerra. Si alza il vento è il modo più doloroso per dire addio a un genio che sceglie la pensione ma, come insegna il film, «dobbiamo provare a vivere». O forse la vera risposta viene proprio dalla bellissima Nahoko: "vivere è una cosa bellissima".
Grazie Miyazaki Sensei!



AUGURO A TUTTI UN
FELICISSIMO 2015!!!

mercoledì 5 febbraio 2014

Gandhi


Titolo originale: Gandhi
Nazione: UK
Anno: 1982
Genere: Biografico
Durata: 188'
Regia: Richard Attenborough
Cast: Ben Kingsley, Candice Bergen, Edward Fox, Ian Bannen, Martin Sheen
audio/video: 10

Trama:
L'impegno politico di Gandhi inizia in Sudafrica dopo che è stato cacciato dalla prima classe di un treno perché indiano. Il rifiuto di obbedire alle leggi inglesi si unisce alla scelta della non violenza. Finisce anche in prigione. Al suo ritorno in India viene accolto trionfalmente. Forte anche dell'amore della moglie, si accolla la missione di strappare i suoi connazionali al dominio inglese e diventa in breve il leader di un movimento indipendentista non violento a cui gli inglesi non sanno più come opporsi. Superati anche i contrasti fra indù e musulmani, Gandhi porta la sua gente alla vittoria finale prima di cadere vittima dell'intolleranza religiosa che divide i suoi connazionali.

Commenti
Per realizzare questo kolossal sono occorsi circa vent'anni: nessuno era disposto a finanziarlo ritenendolo un progetto poco commerciale. Il suo straordinario successo internazionale ha dimostrato il contrario. Attenborough ricostruisce con meticolosità la vicenda politica di Gandhi, attento alla complessità storica e psicologica del personaggio. Peccato solo l'approccio molto di parte della produzione che ha voluto affidare irngiustamente il ruolo di "cattivo" a Mohammed Ali Jinnah, probabilmente perché il mussulmano è ormai il bersaglio ideale contro cui scagliarsi sempre e comunque.
Nell'impersonare il grande apostolo dell'indipendenza dell'India e della non violenza, Kingsley è straordinario. Appartenente alla categoria dei colossi con un'idea, il film è coinvolgente, convincente, forse solo un po' didattico. 8 premi Oscar: film, regia, Kingsley, sceneggiatura (John Briley), fotografia, costumi, scenografie, montaggio, tutti meritatissimi!

lunedì 21 ottobre 2013

Reds


Titolo originale: Reds
Nazione: USA
Anno: 1981
Genere: Drammatico
Durata: 200'
Regia: Warren Beatty
Cast: Warren Beatty, Diane Keaton, Jack Nicholson, Maureen Stapleton, Bessie Love
audio/video: 10

Trama:
Gli ultimi anni di John Reed (1887-1920), giornalista americano socialista che, dopo una tempestosa relazione con Louise Bryant, parte con lei per Pietroburgo dove sta per scoppiare la rivoluzione. Lì partecipa alla rivoluzione bolscevica del 1917 che descrive riccamente nel famoso libro: "Dieci giorni che sconvolsero il mondo".

Commenti
Accolto con largo entusiasmo da parte della critica, “Reds” costituisce senza dubbio l’opera più personale ed ambiziosa nella carriera di Beatty, che oltre a dirigerlo e produrlo ne ha firmato la sceneggiatura insieme a Trevor Griffiths e si è riservato il ruolo del protagonista John Reed (detto Jack), mentre nella parte di sua moglie, la reporter e femminista Louise Bryant, troviamo un’intensa Diane Keaton.
Uno dei pochi film hollywoodiani dove gli intellettuali sono raccontati con simpatia, e l'unico che ha per protagonista un comunista rispettabile e sensibile. Un po' squilibrato nel rapporto tra privato e pubblico, tra sentimenti e idee, ma con vigorose pagine specialmente nella parte finale in Russia. 12 nomination e 3 premi Oscar (regia, fotografia di V. Storaro e M. Stapleton attrice non protagonista nella parte di Emma Goldman).

lunedì 29 luglio 2013

Cristo si è fermato a Eboli


Titolo originale: Cristo si è fermato a Eboli
Nazione: Ita
Anno: 1979
Genere: Drammatico
Durata: 150'
Regia: Francesco Rosi
Cast: Gian Maria Volonté, Irene Papas, Lea Massari, Alain Cuny
audio/video: 10

Trama:
Carlo Levi, condannato al confino dalla dittatura fascista, scortato da due carabinieri, scende dal treno alla stazione di Eboli, ultimo avamposto della "civiltà" ed è costretto a proseguire fino a Gagliano. Carlo inizia a fare piccole passeggiate giornaliere in compagnia del cane Barone e lentamente entra in contatto con la popolazione che finisce per imporre, tanto a lui quanto al podestà fascista, di esercitare la professione di medico mentre in lui torna la voglia di pittura. Tornato a Torino carico di ricordi, Carlo scriverà un libro per ricordare questa esperienza.

Commenti
Come sempre, in casi analoghi, la critica può essere fatta con severi raffronti all'opera letteraria che ha dato origine al soggetto o con paragoni ad opere analogamente impostate su realtà corali viste socialmente, etnicamente, politicamente, moralmente (e in questo caso 'L'albero degli zoccoli' e 'La terra trema' sono i titoli che per primi si impongono). Ma il film è quello che è: forte, sobrio, impressionante, eloquente, ben interpretato e ben diretto. Un gioiello del cinema italiano, ovviamente finito nel dimenticatoio!

lunedì 8 luglio 2013

The Lady - L'amore per la libertà


Titolo originale: The Lady
Nazione: FRA
Anno: 2011
Genere: Drammatico, Biografico
Durata: 145'
Regia: Luc Besson
Cast: Michelle Yeoh, David Thewlis, William Hope, Martin John King, Susan Wooldridge
audio/video: 10

Trama:
La storia vera di Aung San Suu Kyi, Premio Nobel per la Pace 1991 e 'orchidea d'acciaio' del movimento per la democrazia in Myanmar. Dopo l'assassinio del padre, il generale Aung San, leader della lotta indipendentista birmana, Suu cresce in Inghilterra e sposa il professore universitario Michael Aris. Quando nel 1988 il suo popolo insorge contro la giunta militare, Suu torna nel paese natale e inizia il suo lungo scontro diretto contro il potere assoluto dei generali.

Commenti
Continuando nella sua esplorazione di protagoniste femminili, dopo Adèle Blanc-Sec, e passando per i Minimei, ecco che Luc Besson si dedica nuovamente al racconto (avventuroso) di un'altra eroina.
Ma non c'è nulla di fumettistico o d'ironico, nella storia di The Lady, biopic dedicato all'attivista birmana Aung San Suu Kyi premiata con il Nobel per la Pace nel 1991 e da decenni in prima, faticosissima linea per portare la democrazia nel suo paese. Per la prima volta in carriera alle prese con un tema così delicato e con un film "d’impegno civile", il francese non si scompone più di tanto e conferma di essere un capace imprenditore prima che un regista.
Si tratti di fantascienza, azione, racconti per ragazzi o biografie, Besson sa sempre quali sono i tasti giusti da schiacciare nel momento giusto per ottenere l'approvazione del pubblico. O perlomeno di quello meno smaliziato.

martedì 8 maggio 2012

Larry Flynt - Oltre lo scandalo


Titolo originale: The People vs. Larry Flynt
Nazione: USA
Anno: 1996
Genere: Biografico, drammatico
Durata: 127'
Regia: Milos Forman
Cast: Woody Harrelson, Courtney Love, Edward Norton, Brett Harrelson, Crispin Glover
audio/video: 10

Trama:
La storia vera di Larry Flynt, il famoso editore della rivista pornografica Hustler. La sua lotta contro la Corte Suprema per la difesa del Primo Emendamento, la sua candidatura alle elezioni presidenziali, la storia d'amore intensa e appassionante con la bellissima moglie Althea. Il ritratto di un pornografo miliardario con una vita privata per lo meno discutibile, ma non priva di una sua dimensione nobilmente tragica, si risolve in una difesa della libertà di parola e di stampa, cardine di ogni democrazia. Grazie alla sua lotta, nel 1988 la Corte Suprema che nel 1988 sancì che il cattivo gusto non è un problema che riguardi la legge.

Commenti
Forman ci presenta nuovamente un grandissimo film: bifronte, ambiguo, paradossale che gli assomiglia. Scritto da Scott Alexander e Larry Karaszewski (Ed Wood) e prodotto da Oliver Stone (che avrebbe voluto dirigerlo), è un film che ha avuto un successo di scandalo, ma che scandaloso non è: di grande eleganza, divertente, commovente, spesso retoricamente efficace, sempre accorto, talvolta furbo. Orso d'oro a Berlino 1997.

sabato 24 marzo 2012

Il tormento e l'estasi



Titolo originale: The Agony and the Ecstasy
Nazione: UK
Anno: 1965
Genere: Biografico, drammatico
Durata: 140'
Regia: Carol Reed
Cast: Charlton Heston, Rex Harrison, Diane Cilento, Harry Andrews, Alberto Lupo, Adolfo Celi, Venantino Venantini, John Stacy, Fausto Tozzi, Maxine Audley, Tomas Milian
audio/video: 10

Trama:
Michelangelo (Heston) è già un affermato scultore quando viene incaricato da papa Giulio II di affrescare la Cappella Sistina. Tra tormenti artistici e personali litigi con il ruvido committente, Michelangelo distrugge le sue pitture, si ammala, cade dall'impalcatura. Sta quasi per abbandonare l'impresa, ma in extremis arriva la riconciliazione col papa e col proprio genio pittorico.

Commenti:
Dall'omonimo romanzo-fiume di Irving Stone, un'opera spettacolare, in cui si scorge la mano del suo autore, interamente sviluppata sul dualismo tra i complessi caratteri dei due protagonisti. Da non perdere il prologo, il documentario di 14 minuti di Vincenzo Labella (foto di Piero Portalupi) sull'opera scultorea di Michelangelo. Efficace il nutrito ed eterogeneo cast, trascinato dai duetti tra Charlton Heston e Rex Harrison (che nella realtà si disprezzavano reciprocamente), con Tomas Milian nei panni di Raffaello e, tra gli altri, Harry Andrews, Diane Cilento, Alberto Lupo e Adolfo Celi.

mercoledì 26 ottobre 2011

Sette anni in Tibet



Titolo originale: Seven Years in Tibet
Nazione: USA
Anno: 1997
Genere: Avventura
Durata: 135'
Regia: Jean-Jacques Annaud
Cast: Brad Pitt, David Thewlis, Dorjee Tsering, B.D. Wong, Mako
audio/video: 10

Trama
La storia vera dell'austriaco Heinrich Harrer (1912-2006), tratta dalla sua autobiografia: alpinista, campione di sci, attore, arruolato nelle SS, conquistatore della parete Nord dell'Eiger nel 1938, mancato scalatore nel 1939 del Nanga Parbat, uno degli 8000 della catena himalayana. Prigioniero degli inglesi, evade dal campo di prigionia nel 1942 con un compagno. Giunto a Lhasa, città proibita del Tibet, diventa amico di un Dalai Lama adolescente, cinefilo e curioso dell'Occidente.

Commenti
Diretto con cura da Annaud, interpretato con passione da Brad Pitt, suggestivo nei paesaggi, preciso nella ricostruzione storica, pregevole nei costumi, Sette Anni In Tibet è un film senza dubbio ambizioso: splendida tutta la parte ambientata a Lhasa e profondamente commovente il rapporto che unisce il giovane Lama allo straniero, film presenta punti deboli che potremmo sintetizzare come "lungaggini" ma che sono bene in linea con la filosofia buddista. Il film, per questioni atmosferiche e burocratiche, è stato girato in Canada e sulle Ande argentine. Cento i monaci tibetani presenti nel cast. Nel ruolo della Grande Madre compare anche Jetsun Pema, sorella del Dalai Lama.

venerdì 7 ottobre 2011

Lady Henderson presenta



Titolo originale: Mrs. Henderson Presents
Nazione: UK
Anno: 2006
Genere: Commedia
Durata: 103'
Regia: Stephen Frears
Cast: Judi Dench, Bob Hoskins, Will Young, Kelly Reilly, Thelma Barlow
audio/video: 10

Trama
Ispirato ad una storia vera ambientata a Londra alla fine degli anni 30. Lady Henderson rimane vedova. Possiede beni e ricchezze, si annoia. Per caso incappa in un teatro in vendita. Lo compra. "Compra" anche tale Van Damme, operatore del settore. Il sodalizio sembra complicato, entrambi sono energici e ambiziosi. Sarebbe il direttore a comandare, ma la lady è presente, incombe. Il teatro si chiama Windmill, diventarà una leggenda. L'idea vincente ce l'ha lei: portare sul palcoscenico una bella schiera di donne nude.

Commenti
Film gradevolissimo sin dai titoli di testa che ci portano subito nel clima di Busby Berkeley e Vincente Minnelli, dei loro meravigliosi musical anni 30-40. Una confezione di lusso, un'accuratissima ricostruzione d'epoca in cui campeggia una coppia che fa scintille, Judi Dench e Bob Hoskins, al meglio delle loro possibilità (una sorpresa in particolare la Dench, grande attrice drammatica: talmente spontanea, talmente a proprio agio in un ruolo per lei non usuale da dare l'impressione che non abbia fatto altro in vita sua). Fantasia, sentimento, bella e attenta ricostruzione, un po' di calligrafismo. Attori perfetti, corpi bianchi e levigati, qualche nudo divertente, anche maschile. E Frears è un amico, una sicurezza, fa del cinema, senza eccesso di effetti speciali, senza violenza e senza politicamente corretto. Racconta una storia. Val sempre la pena di vederla.
Basterebbe un nome per riassumere l'ultimo lavoro di Stephen Frears, e non è quello del regista. Martin Sherman, oscuro scribacchino, che si ricorda a malapena per aver steso con Zeffirelli lo script dell'agiografico "Callas forever", si rivela un maestro della materia cinematografica, scrivendo una sceneggiatura di una densità e di una freschezza davvero sorprendenti!

venerdì 1 luglio 2011

Il leone d'inverno



Titolo originale: The lion in winter
Nazione: GB
Anno: 1968
Genere: Storico
Durata: 135'
Regia: Anthony Harvey
Cast: Peter O'Toole, Katharine Hepburn, Jane Merrow, Anthony Hopkins, Nigel Terry
audio/video: 10

Trama
Enrico II Plantageneto, re d'Inghilterra e di buona parte della Francia, ormai cinquantenne e preoccupato di quel che alla sua morte potrebbe accadere al regno - il più potente ed esteso d'Europa - sul finire dell'anno 1183 convoca in un castello bretone una riunione di famiglia, apparentemente per festeggiare il Natale, in realtà per risolvere la questione del suo successore. Come tale, Enrico vuole imporre il figlio più giovane, Giovanni, dandogli in moglie perchè non si perda il dominio sulle terre d'oltre Manica - la propria amante, la principessa Alice, sorella di Filippo II, giovanissimo re di Francia. Ai propositi di Enrico si oppone la consorte, Eleonora d'Aquitania, che sostiene invece, come successore, l'altro figlio Riccardo.

Commenti
L'affresco storico è ben delineato, con attenzione al dettaglio e una'atmosfera satura di violenza. Ebbe 3 Oscar: migliore sceneggiatura: James Goldman da una sua commedia; musica: John Barry; e attrice (ex aequo con Barbra Streisand per Funny Girl): la sempreverde Hepburn, al fianco di un O'Toole in gara di istrionica bravura.

domenica 27 febbraio 2011

Momenti di gloria



Titolo originale: Chariots of Fire
Nazione: GB
Anno: 1961
Genere: Avventura, Storico, Sportivo
Durata: 124'
Regia: Hugh Hudson
Cast: Ben Cross, Ian Charleson, Nigel Havers, Nicholas Farrell, Ian Holm, John Gielgud
audio/video: 10

Trama
Il racconto epico di due atleti alle Olimpiadi in gara per la Patria e per il Signore.
Due atleti, agli inizi degli anni Venti, si preparano per le Olimpiadi di Parigi. Il primo, Harold Abrahams, è ebreo e studia a Cambridge. L'altro, Eric Liddell, è figlio di un missionario e viene da Oxford. Per entrambi la gara clou è quella dei cento metri ma Liddell rifiuta di correre le eliminatorie la domenica, giorno dedicato al Signore, e lascia via libera a Abrahams. In compenso, sui quattrocento, darà all'Inghilterra la seconda medaglia d'oro.

Commenti
Oscar 1981 come miglior film, sceneggiatura originale, colonna sonora e costumi, riesce a sfuggire a tutti i cliché del cinema "sportivo" proponendoci una ricerca interiore che si muove sulle gambe degli atleti (da antologia, nella sua linearità, la sequenza dei titoli di testa), ma non si lascia prendere da ritmi inadeguati. Abrahams e Liddell sono due persone complete, la sceneggiatura non tende a farli diventare simboli di nulla. La tesi, come sempre accade quando il cinema si rifiuta di diventare un pamphlet con note a piè di pagina, emerge dall'articolazione narrativa e dalla capacità di Ben Cross e Ian Charleson di rendere credibili anche le titubanze apparentemente più assurde per uno spettatore moderno. Vangelis viene in aiuto con una colonna musicale in cui mostra di aver perfettamente compreso qual è il senso della partitura dell'intero film. Non rinuncia all'epicità stemperandola contemporaneamente in una scrittura attenta a non perdere di vista l'aspetto intimo delle vicende narrate. Anche l'uso dei ralenti, spesso a doppio taglio nei film che si occupano di argomenti sportivi, si rivela attento a non scadere nel virtuosismo fine a se stesso ma è finalizzato alla restituzione di una dimensione emotiva che le frazioni di secondo della tecnologia moderna relegano in una collocazione secondaria rispetto all'esaltazione dell'uomo-macchina. Liddell e Abrahams sono, e restano nonostante tutto, uomini.

martedì 11 gennaio 2011

L'ultimo imperatore



Titolo originale: The Last Emperor
Nazione: ITA/GB/FRA/CHI
Anno: 1988
Genere: Drammatico/Biografico
Durata: 160
Regia: Bernardo Bertolucci
Cast: Peter O'Toole, John Lone, Joan Chen, Ryuichi Sakamoto, Dennis Dun
audio/video: 10

Trama
La vita straordinaria di Pu Yi, l'ultimo imperatore della Cina. Passando per gli Anni '20 e '30, vediamo prima Pu Yi play boy in esilio, poi burattino nelle mani dei giapponesi ed infine prigioniero dei sovietici nel 1946. Rientrato infine in Cina , dopo un lungo periodo di "rieducazione", Pu Yi morirà, in solitudine e malinconia così come era vissuto, nel 1967.

Commenti
Melodramma in 2 parti, è la storia vera di Pu Yi che nacque (1906) imperatore e morì (1967) cittadino qualsiasi della Repubblica Popolare Cinese. Tragitto di un uomo dall'onnipotenza alla normalità, dal buio della nevrosi alla luce della quotidianità, ma anche parabola di un attore coatto, di qualcuno costretto – bambino dai compatrioti, adulto dai giapponesi invasori – a recitare una parte che, in fondo, gli piace. Cinema alla grande e talvolta grande cinema. Nella 1ª parte, la più operistica, bloccata nella Città Proibita di Pechino, il regista deve aggirare le trappole del colossal in costume, nella 2ª gli ostacoli rigidi della biografia. Il film più armonioso di B.B. e, forse, con Piccolo Buddha, il più accademico. La voce di Lone è di Giancarlo Giannini. 9 premi Oscar: film, regista, sceneggiatura (con Mark Peploe e Enzo Ungari, basata sulle memorie di Pu Yi e su quelle di Reginald Johnstone, il suo precettore scozzese), fotografia (V. Storaro), montaggio (G. Cristiani), musica (Ryuichi Sakamoto, David Byrne e Cong Su), scenografie (Ferdinando Scarfiotti, Osvaldo Desideri, Bruno Cesari), costumi (James Acheson), sonoro (Bill Rowe, Ivan Sharrock). César in Francia (miglior film straniero) e Globo d'oro a New York (miglior film dell'anno).

giovedì 20 maggio 2010

A beautiful mind



Titolo originale: A beautiful mind
Nazione: Gran Bretagna
Anno: 2001
Genere: Drammatico/Romantico
Durata: 134'
Regia: Ron Howard
Cast: Russell Crowe, Jennifer Connelly, Ed Harris, Paul Bettany
audio/video: 10

Trama:
Ispirato alla vita del matematico John Forbes Nash Jr. vincitore, nel 1990, del premio Nobel per l'economia.
John Nash è un genio della matematica. Sembra un tipo scostante, eccentrico, ma è solo timido, insicuro. John Nash è schizofrenico. Questo non gli impedisce, dato che è un genio, di insegnare a Princeton e di lavorare per il Governo. Il suo compito è quello di riconoscere e decrittare i codici segreti utilizzati dai "rossi" (siamo in piena guerra fredda), persino la sua relazione con la bella Alicia, sua ex-studentessa che finisce per diventare sua moglie, è secondaria rispetto al suo lavoro di spia. Fino a quando Nash non viene internato in ospedale psichiatrico.

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