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sabato 7 dicembre 2024

Pane e cioccolata

Titolo originale: Pane e cioccolata
Nazione: ITA
Anno: 1973
Genere: Commedia, Drammatico
Durata: 115'
Regia: Franco Brusati
Cast: Nino Manfredi, Paolo Turco, Johnny Dorelli, Anna Karina, Gianfranco Barra, Tano Cimarosa, Ugo D'Alessio

Trama:
Nino, emigrato in Svizzera, è perseguitato dalla sfortuna e, benché lavori, perde il permesso di soggiorno. Un compatriota industriale vorrebbe aiutarlo e lo assume ma, poco dopo, l'azienda entra in crisi. Costretto a ripartire da zero, grazie alla sua lunga esperienza Nino prova anche a fingersi svizzero ma...

Commenti e recensione:
Ah sì, Pane e cioccolata! Chiunque l'abbia visto al cinema, a suo tempo, lo ricorda con ammirazione e tenerezza ancora a distanza di anni. Il film ebbe, infatti, ampio successo sia di critica che di pubblico, conquistò l'Europa (vinse l’Orso d’Argento al Festival di Berlino) e, qualche anno dopo, perfino gli Stati Uniti, dove fu distribuito in poche copie ma ottenne comunque entusiastiche recensioni. Eppure, malgrado sia, per molti motivi, impresso nella memoria collettiva di noi spettatori di allora, di fatto chi è venuto dopo non ha avuto molte occasioni per conoscerlo. Inizialmente passò un po' in televisione, poi sparì senza nemmeno un'edizione in videocassetta. Nel 2015 uscì finalmente questa bellissima versione restaurata, in digitale, in occasione dei settant'anni della Mostra dei cinema di Venezia ma ormai il danno era fatto: emigrazione, dopo il 2000, ha assunto un significato troppo diverso e nessuno della nuova generazione desidera confrontarsi con un soggetto così spinoso.
Eppure Pane e cioccolata avrebbe ancora tanto da insegnare perché Brusati sul tema dell’emigrazione italiana all’estero, tema piuttosto rimosso dal nostro cinema, sa bene cosa vuol dire e lo dice a chiare lettere. Il suo sguardo è più brutale ed acuminato nei confronti degli italiani che riguardo agli scostanti svizzeri tedeschi. Più di tutto rimprovera agli italiani il miserabilismo, l’arte di arrangiarsi ed il vizio di ridere sulle peggiori disgrazie e condizioni di vita. “Non riesco ad amare un Paese dove sui problemi si canta, anziché tentare di risolverli” dichiarò il regista a suo tempo, ed ancora “A me l’autopietismo sterile, il genio italico che risolve tutto in canzonetta ed il folklore basato sul nulla danno il voltastomaco”. Una severa presa di posizione che offende la sinistra, irrita la destra e spiazza la Lega; ovvio che il film, proprio perché così bello ed azzeccato, dovesse sparire. : /
Pane e cioccolata nasce quasi per sbaglio e con tutte le carte in regola per diventare un fiasco. Il progetto prevedeva Ugo Tognazzi come protagonista ma fu sostituito da un Nino Manfredi che, fin dal primo momento, entro in forte conflitto con Brusati e la sceneggiatrice Iaia Fiastri. Manfredi apportò diverse modifiche al testo, al punto di pretendere di avere il proprio nome accreditato tra gli autori. Di solito i conflitti sul set non fanno bene ai film eppure, stavolta, si verificò l’esatto contrario perché il senso del conflitto permea tutta l’opera, conferendole il suo sottile equilibrio tra comicità e poetica. Il risultato è forse la più bella interpretazione dell'attore (sostenuto da un gran lavoro di sceneggiatura su uno dei personaggi più profondi e memorabili della storia del nostro cinema) e l'opera migliore del regista (anche se Dimenticare Venezia, nominato agli Oscar, non è certo da buttar via) ma, a riprese ultimate, Manfredi e Brusati si giurarono che non avrebbero mai più lavorato insieme.
Anche se quasi tutto il film poggia su Manfredi, unico personaggio approfondito psicologicamente, sarebbe ingiusto non ricordare un buon Dorelli imprenditore in crisi, migrante fiscale nel paradiso degli evasori, e la bellissima Anna Karina, affascinante esule dalla Grecia dei colonnelli (sì, ci siamo dimenticati anche di loro).
È forse giunta l'ora di rivedere Pane e cioccolata e di farlo scoprire alle nuove generazioni?
Penso proprio di sì, perché questo capolavoro, ben calibrato tra grottesco e realismo, umorismo e dramma, è e resterà per sempre una pietra miliare del cinema italiano! :D

lunedì 29 aprile 2024

Ludwig

Titolo originale: Ludwig
Nazione: ITA+FRA+GER(BRD)
Anno: 1973
Genere: Storico, Drammatico, Biografico
Durata: 230'
Regia: Luchino Visconti
Cast: Helmut Berger, Trevor Howard, Romy Schneider, Silvana Mangano, Adriana Asti

Trama:
Incoronato re a soli 18 anni, l'ingenuo e sognatore Ludwig von Wittelsbach sale al trono di Baviera carico di romantiche passioni: quella, non ricambiata, per la cugina e imperatrice d’Austria Elisabeth, quella per la musica di Wagner, artista che sovvenziona, e quella per i castelli, per cui spende una fortuna. Il suo Consiglio dei Ministri apre un’inchiesta per destituirlo e...

Commenti e recensione light:
Comunemente indicato come ultimo film della cosiddetta "trilogia tedesca", Ludwig è, a mio avviso, solo un altro e splendido capitolo di quella fase cinematografica in cui Visconti rappresenta, con immenso rimpianto, il crepuscolo di un mondo vecchio e dai valori sfioriti. Per mostrarci al meglio lo splendido affresco di una Mitteleuropa decadente, all'indomani del processo di quell'unificazione tedesca così simile, nei suoi effetti sulla nobiltà, a quella dell'unità di casa nostra, il regista distilla quasi all'eccesso il suo già raffinatissimo gusto estetico toccando vertici mai più raggiunti dal cinema italiano e regalandoci una ricostruzione sontuosa ed elegante di quel profondissimo (melo)dramma umano e sociale.
Visconti, come tanti altri registi, ha cercato più volte di creare un suo alter ego di celluloide ma nessuna delle sue splendide copie è mai stata più vicina al suo ideale quanto il magnifico Helmut Berger che qui, con grazia singolare, dona all'infelice sovrano una consistenza intensissima. Grazie a lui tutti i temi cardine di Visconti, l'amore-passione, la seduzione mortuaria, le ossessioni del potere, l'omosessualità, il rapporto tra arte e vita, assumono significati nuovi, trascendentali eppure profondamente umani, nella più pura contraddizione decadentista.
Impossibile (ed imperdonabile) sarebbe non citare anche l'ormai adulta Romy Schneider che magistralmente rappresenta, e non soltanto interpreta, quell'Elisabetta d'Austria che è molto più che semplice spettatrice d'eccezione dell'affresco dei castelli di Ludwig, ne è musa e tormento insieme. Le sue due notti col sovrano, insieme all'incontro con l'attore shakespeariano ed il suo azzeccatissimo riferimento ai figli della Luna di Platone, sono certamente i punti più alti di questo capolavoro.
Ludwig è un film da vedere e rivedere (evitando però accuratamente la mutilata versione di solo tre ore circolata fino al 1980) perché è un concentrato della poetica viscontiana, suo vero e proprio testamento artistico - coltissimo, ambiguo, decadente ed autodistruttivo - ma anche e soprattutto perché è una straziante lettera d'amore (e d'addio!) per una civiltà di cui il regista si sente profondamente orfano e che, con struggente affetto, vuole immortalare per noi, piccoli e miseri posteri.

domenica 19 novembre 2023

Space Cowboys

Titolo originale: Space Cowboys
Nazione: USA
Anno: 2000
Genere: Azione, Fantascienza, Drammatico
Durata: 110'
Regia: Clint Eastwood
Cast: Clint Eastwood, Tommy Lee Jones, James Garner, Donald Sutherland, Marcia Gay Harden

Trama:
Il principale satellite russo per la comunicazione è in avaria e rischia di precipitare sulla Terra. A causa della sua tecnologia obsoleta solo quattro vecchi componenti del gruppo Dedalus, sciolto alla fine degli anni Cinquanta, sa ancora come controllarlo ma sono davvero avanti con gli anni e...

Commenti e recensione light:
Il conflitto tra generazioni, come quello con le autorità, è uno dei temi classici di Eastwood ma, in questa sua pellicola, ci mostra piuttosto una amabile esaltazione della vecchiaia, sì con i suoi difetti ma anche coi suoi tanti pregi.
Con molto gusto, allegro ottimismo ed una tecnica ineccepibile, l'uomo che una volta era semplicemente quello "con il cappello o senza il cappello" ci ricorda che non si è mai troppo vecchi e che ci si può sempre riprovare. Forse non è nemmeno vero, dopotutto è solo cinema, ma è bello sentirselo dire. ^_^
Benché parlando di tecnica il Nostro non abbia più nulla da invidiare a nessuno (questo film fu presentato a Venezia mentre ritirava il Leone d'Oro alla carriera °_°) Eastwood è ben conscio di non essere un Kubrik ed infatti non prova nemmeno ad entrarci in competizione, né con lui né con tutta quella fantascienza di alto livello e profondi significati metafisici. Preferisce piuttosto immaginare lo Spazio come un'estensione del "suo" Far West, come qualcosa di simile alle torride distese dell'Arizona solcate a cavallo dal pistolero della trilogia di Leone, su cui far correre, un'ultima volta, i suoi cavalieri e mettendo l'eroe, ed ecco un altro dei suoi temi classici, a confronto col suo sogno.
L'anima western di Clint Eastwood si ritrova anche nei ritmi sia di ripresa che di recitazione e si dimostrano straordinariamente adattati al suo modo di recitare (per carattere e per età), al tipo di racconto, alle aspettative del pubblico, alla giusta dose di contaminazione dei generi, al senso dell'avventura ed, ammettiamolo, a quell'orgoglio americano per la responsabilità delle sorti del mondo tutto "fumetto anni '40". Eastwood dosa con misurata sapienza anche il ricorso agli effetti speciali ed allo sproloquio di termini scientifici che abbondano nelle opere, dozzinali e non, di questo genere.
In realtà, che la storia si sviluppi nello spazio è quasi accessorio, benché aggiunga al dramma una prospettiva del tutto funzionale a valorizzarne la narrazione, ma che lo si veda come film di fantascienza o come una storia drammatica, è comunque una delle migliori pellicole a sfondo NASA mai fatte. Ed infatti la NASA ci ha messo davvero tanto del suo, concedendo il Johnson Space Center di Houston e il Kennedy Space Center di Orlando come perfette location.
L'eccellente cast rispetta le grandi aspettative: Eastwood, Jones, Sutherland, e Garner offrono delle prove eccellenti, dimostrando tra loro una chimica innata. I quattro, con le loro godibilissime battute sul confronto ieri-oggi, vecchi-giovani, derisione-ravvedimento, sull'amicizia virile e sulle diverse interpretazioni sulla definizione di rapporto tra i sessi, portano sullo schermo un humor che, inserito nel quadro generale della storia e perfettamente sorretto dai tanti ed ottimi comprimari, funziona davvero bene.
Nel complesso, Space Cowboys è uno di quei film da gustare ed apprezzare, senza contare che riesce a darci quella piacevolissima sensazione che si prova ogni volta che si scopre, come mi è già successo con altri lavori di Eastwood, un inatteso gioiellino. Da vedere assolutamente! :D

lunedì 30 ottobre 2023

Santa Sangre

Titolo originale: Santa Sangre
Nazione: Italia, Messico
Anno: 1989
Genere: Thriller, Horror, Drammatico, Grottesco
Durata: 129'
Regia: Alejandro Jodorowsky
Cast: Axel Jodorowsky, Adan Jodorowsky, Blanca Guerra, Guy Stockwell, Thelma Tixou, Sabrina Dennison

Trama:
Un giovane è rinchiuso in una clinica per malati mentali. Frutto di un'infanzia traumatizzata e truculenta (sua madre ha evirato il padre, che si è ucciso dopo averle strappato le braccia), tramite una serie di flashback ricostruisce la strada che l'ha condotto sino a lì e...

Commenti e recensione light:
È sempre difficile recensire le opere di Jodorowsky perché o si scrive troppo poco oppure troppo.
Presentato al Festival di Cannes dell'89 (l'anno in cui vinse Sesso, bugie e videotape, per intenderci), Santa Sangre è un distillato dei messaggi barocchi, visionari e psico-onirici di El Topo, La montagna sacra e dello sfortunatissimo Tusk, che non vide mai la luce a causa della bancarotta del produttore. Forse è a Claudio Argento, fratello di Dario, qui produttore ma anche attivo nella stesura della sceneggiatura, che dobbiamo l'incursione nel thriller e l'analisi, fredda e cinica, della mente del matto ma è chiaramente di Jodorowsky la spessa patina di commistione tra sacro, sacrilego e scatologico che permea i ricordi ed il mondo del protagonista.
Santa Sangre ribolle tanto di vita quanto di morte: prostitute mostruose, nani orientali, clown, tatuaggi, circhi, trapezisti, mimi, lanciatori di coltelli, elefanti, il culto fanatico di una santa senza braccia ed una piscina dove è adorato il suo sangue, straccioni puzzolenti, pazzi e soldati alla Frankenstein, in un turbinio di citazioni così (pseudo) autobiografiche che il regista, per interpretare il ruolo del suo alter-ego Fenix, sceglie solo figli o nipoti.
Come per le prime pellicole di Buñuel, a prima vista sembra solo un tripudio di materia immaginifica, organizzabile esclusivamente a livello puramente percettivo. È solo quando ci si immerge nello studio delle immagini del film che si sprofonda nel simbolismo junghiano, mentre l'uso di nomi fortemente evocativi (e freudiani) evidenziano il percorso interiore di un Fenix (Fenice) che si distacca dall'oppressione dei genitori (il padre Orgo, che significa orgasmo, e la madre Concha ovvero vulva) e trova il suo Io più profondo nell’amore vero di Alma (anima). In profondità, quasi in filigrana, è visibile l'evoluzione e l'iniziazione massonica di Tamino del Flauto Magico di Mozart... e qui mi fermo perché, appunto, sto per scrivere troppo! XD
Santa Sangre, con i suoi attori bravissimi e semi sconosciuti, una fotografia grezza ma che resta impressa, scene sia grottesche che commoventi ed una splendida colonna sonora, è chiaramente un film adatto esclusivamente a quella piccola nicchia di raffinati cultori dai palati forti che, stranamente, sembrano bazzicare queste pagine ed ai quali lo propongo con immenso piacere. Sì, sto sfondando la quarta parete e parlo proprio a voi, folli amici miei, perché so che questo gioiello onirico, che lascerà profondissimi segni (tatuaggi?) nella parte più profonda di voi, non potrà che piacervi immensamente! :D

giovedì 15 giugno 2023

L'uomo venuto dal Kremlino

Titolo originale: The Shoes of the Fisherman
Nazione: USA
Anno: 1968
Genere: Drammatico, Fantapolica, Thriller
Durata: 157'
Regia: Michael Anderson
Cast: Anthony Quinn, Laurence Olivier, Oskar Werner, Alfred Thomas, Vittorio De Sica, Leo McKern, John Gielgud, Barbara Jefford

Trama:
Giunto a Roma dopo vent'anni di prigionia in Unione Sovietica, il vescovo Kiril Lakota è eletto cardinale, e, poco tempo dopo, acclamato Papa. Sul trono di Pietro si trova a dover affrontare la spinosa questione della terribile carestia in Cina, il cui leader minaccia guerra ai vicini. L'attuale premier sovietico, suo ex carceriere, lo prega di intervenire e...

Commenti e recensione light:
Molti di voi ricorderanno ancora quei giorni ma, per tutti quelli venuti dopo gli anni '70, un minimo di spiegazione mi sembra necessaria.
Dai tempi della caduta dell'Unione Sovietica non ci sono mai stati (ultimo anno escluso, ovviamente!) attriti significativi tra superpotenze atomiche ed una tensione di confine tale da rischiare una terza guerra mondiale oggi sembra molto poco realistica; negli anni '60 invece era una situazione di grande attualità.
La Sānnián dà jīhuāng, la terribile carestia causata dal Grande Balzo in avanti di Mao, stava mietendo vittime in tutta la Cina; oggi si parla di un numero che oscilla tra i 15 ed i 55 milioni di morti ma già allora, malgrado le poche informazioni, si capiva che era in corso il più grande disastro mai provocato dall'uomo. In una situazione simile, che Mao prendesse in considerazione l'idea di occupare, e razziare, i paesi confinanti non era affatto da escludere.
Per quanto riguarda la Russia, mentre veniva scritto il libro Chruščëv non aveva ancora scatenato, con l'invio di missili a Cuba, la "crisi di ottobre" ma la guerra fredda era al suo apice e le tensioni erano palpabili.
Unendo questi elementi di geopolitica alla spettacolare, e prima realmente "televisiva", elezione  di Giovanni XXIII (che pare contese il soglio pontifico proprio al georgiano Ghazaros Agagianian, patriarca di Cilicia degli armeni) di pochi anni prima, Morris West ha creato un pregevole racconto di fantapolitica che, per un fortunatissimo caso del destino, uscì nelle librerie di tutto il mondo proprio il giorno della morte di Papa Roncalli; fu il libro più venduto quell'anno!
Tutto questo, ed anche le ambientazioni sia esotiche che mistiche che trionfali, non poteva non stuzzicare un regista come Michael Anderson, già autore di un en plein da cinque Oscar come Il giro del mondo in 80 giorni e fermamente deciso a ripetersi. Tuttavia, malgrado un cast che dire stellare è davvero poco (rileggete bene la lista in alto O_O), una fotografia da pubblicità turistica e delle ambientazioni assolutamente eccezionali (anche se, girando in Vaticano ed a Caprarola, il compito era abbastanza facile ^_^) il film non fu particolarmente considerato ed i critici, soprattutto nostrani, lo sottovalutarono ingiustamente.
Ammetto che la sottotrama del giornalista RAI che tradisce la moglie poteva essere tagliata ma il resto è composto da un'incredibile quantità di scene indimenticabili, prime tra tutte quelle del Conclave in cappella Sistina che sono da antologia del Cinema! In realtà credo che un certo gruppo di critici sia stato disturbato dalle immagini delle repressioni in URSS, il fanatismo del leader cinese e, nel complesso, della pessima figura che faceva il mondo comunista. Gli altri, invece, scommetto abbiano trovato offensive le scene all'interno delle mura vaticane, la critica al conservatorismo dei teologi ed il ben poco velato attacco alla ricchezza della Chiesa. Insomma, per evidenti motivi politici non piacque né a destra né a sinistra. Quando si dice sfortuna! ^__^
Credo che abbiano passato L'uomo venuto dal Kremlino in televisione poco dopo l'elezione di Giovanni Paolo II. Qualche genio dei palinsesti avrà pensato che fosse l'occasione giusta per riproporlo ed, in effetti c'è, un che di profetico nella storia di questo papa slavo che, vendendo tutte le ricchezze della chiesa, risolve i problemi sul fronte orientale... Anche se nella realtà vennero invece sottratti immensi capitali dalle banche collegate allo IOR, caddero non poche teste ed il fronte non venne salvato ma sbriciolato. Quisquiglie comunque. XD XD
Se però si sorvolano i pregiudizi di bottega anni '60 dei critici, il film è intelligente (pur nei limiti del romanzesco americano da "pizza e mandolino"), estremamente scenografico, di grande intrattenimento, con attori di cui nemmeno mi metto a commentare la formidabile caratura e, nel complesso, assolutamente da vedere! :D


DEDICO QUESTO POST A
GIAMmux
che di questo film ha realizzato per noi
un mux di altissimo livello 
di cui troverete il link in calce.
GRAZIE!!! 

lunedì 12 dicembre 2022

Nosferatu - Il Principe della notte



Titolo originale: Nosferatu, Phantom der Nacht
Nazione: GER(RFT) - FRA
Anno: 1978
Genere: Drammatico, Horror
Durata: 107'
Regia: Werner Herzog
Cast: Klaus Kinski, Bruno Ganz, Isabelle Adjani, Jacques Dufilho, Clemens Scheitz, Walter Ladengast


Trama:
Jonathan Harker è un ambizioso agente immobiliare incaricato di concludere la vendita di una proprietà in Transilvania ed anche se la sua giovane moglie, Lucy, ha una premonizione e vorrebbe fermarlo, nulla riesce a frenare la sua voglia di successo. Tuttavia, quando arriva ai Carpazi si scontra col conte Dracula, sinistro vampiro assetato di sangue umano, e...

Commenti e recensione light:
Quando venne annunciata la produzione di questo film, la critica salì immediatamente sulle barricate in difesa del capolavoro di Murnau del '22. Da ignorante non mi spiegavo il perché di tanta furia, questo non era certo il primo remake della storia del cinema! Ovviamente, quando ebbi l'opportunità di vedere l'originale, dove la lunga ombra del nazismo che incombeva sulla democrazia malata è addirittura palpabile, ho capito perché fossero tutti così preoccupati ma, per fortuna, anche Herzog aveva amato quella vecchia pellicola ed il suo Nosferatu è decisamente più uno splendido omaggio che non una squallida operazione di marketing.
Benché abbia cambiato i nomi ai personaggi, restituendogli quelli di Bram Stoker che Murnau non aveva utilizzato per motivi di copyright, Herzog ha mantenuto tutto lo spessore e la drammaticità del primo film ma, con la sua sensibilità da Neuer Deutscher Film, gli aggiunge ulteriori e più moderni livelli di lettura. Da un punto di vista artistico-letterario direi che non guarda più solo a Murnau e Stoker ma permea il suo film di brumosità fiamminga e della drammaticità tragica di Poe e Lovecraft, strappando il Male dalla sua raffigurazione stereotipata e rendendolo così spaventosamente tridimensionale che persino l'eroico, seppur inutile, sacrificio della giovane protagonista è solo un inciampo sulla sua avanzata trionfale. La spettacolare e quasi felliniana danza solitaria di Dracula, nella piazza svuotata dalla pestilenza che si è portato appresso, è una scena da antologia ed ha tutta la potenza di un affresco escatologico medievale. °_°
E poi c'è lui, l'inarrivabile Klaus Kinski nella sua interpretazione più sconvolgente!
Mai si era visto un Dracula così memorabile, prigioniero della sua condizione di non morto e condannato ad un'imperitura solitudine priva di qualsiasi sentimento umano. Pallido, calvo e disperato, Kinski è l'esempio perfetto di magica adesione uomo-personaggio: l'insana ferocia, l'assatanata carnalità, la corporalità impetuosa, si fondono in una vis attorica ineguagliabile. Durante tutta la visione si è costantemente attanagliati dal dubbio di quanto sia recita e quanto la reale anima dell'attore. Disse Herzog che "si atteggiava a messia convinto di essere un genio", forse esagerava ma la magnetica trance, che avevamo già visto in Aguirre, ha reso irripetibile la consonanza di Kinski con l'infernale vampiro; mi spiace per Max Schreck, ottimo nella prima pellicola, ma ormai Nosferatu è e sarà solo lui!
Nosferatu - Il Principe della notte, benché realizzato con pochissimi mezzi e remake di un film già importantissimo, grazie al lavoro di Herzog e l'interpretazione del "suo" Kinski è un’opera assolutamente originale ed affascinante che non smette mai di svelare, ad ogni visione, nuovi significati nascosti, vera firma dei più grandi capolavori! :D

lunedì 24 ottobre 2022

Othello

Titolo originale:Othello
Nazione: UK
Anno: 1995
Genere: Drammatico
Durata: 123'
Regia: Oliver Parker
Cast: Kenneth Branagh, Laurence Fishburne, Irène Jacob, Michael Sheen

Trama:
Il perfido Iago, geloso dei favori di cui il Moro di Venezia è prodigo verso il giovane Cassio, decide la rovina di entrambi servendosi dell'imbelle Roderigo, innamorato senza speranza di Desdemona. Istigherà così tanto il Moro che...

Commenti e recensione:
Credo che di film di Otello ne siano stati realizzati almeno una ventina eppure Oliver Parker osa riproporcelo addirittura come opera prima, merita quindi tutto il nostro rispetto il fatto che ci sia riuscito così bene.
La scelta delle location (va bene che con Venezia non si può sbagliare più di tanto ^_^), la cura per i costumi, le luci ed i movimenti di camera sono di ottimo livello. E come non ammirare la trasposizione cinematografica che, pur con le sue innovazioni, rispecchia molto bene l'opera shakespeariana ed è assolutamente al livello delle pellicole storiche, e forse migliore di tante. Che dire poi del cast: Fishburne, praticamente il primo Moro realmente di pelle scura (non considero la pellicola di Liz White dell'80 che ebbe davvero poco successo) si comporta egregiamente, così come sia la bella Jacob che Michael Sheen. Purtroppo hanno tutti avuto la terribile sfortuna di trovarsi un Branagh assolutamente meraviglioso, persino fuori scala, che ha rubato loro la scena. Il suo Iago è talmente potente che ormai questo è il suo Othello, oscurando persino l'impegno e la professionalità di Parker & Co.
In parte tutto ciò è dovuto proprio alla splendida trasposizione; pur divertendosi a rendere il rapporto Otello/Desdemona molto più carnale della vulgata classica (e scommetto che il Bardo, da bravo uomo di spettacolo, avrebbe approvato) Parker si è scontrato con l'eterno "problema Iago": chi è questo personaggio, così misteriosamente malvagio? Cosa lo spinge? Cosa lo tormenta? La tragedia di Otello ci racconta della gelosia eppure Iago è l'incarnazione del peccato opposto, l'invidia. Ed è qui che il lavoro del novello regista diventa pregevole perché, finalmente, coglie il messaggio profondo di Shakespeare: l'invidia altro non è che gelosia nei confronti del resto del mondo! Improvvisamente Iago diventa molto più del perfido e subdolo comprimario, si trasforma nel pilastro di tutta l'opera. Attenzione, non è che altri registi, cinematografici o di teatro, non si siano accordi della sua importanza, è solo che, normalmente, benché importante rimane solo uno dei vertici del classico triangolo (peraltro per interposta persona). Non è un caso se Orson Welles, Laurence Olivier e tanti altri abbiano interpretato il ruolo da loro considerato centrale, quello del Moro. Questo forte sfasamento percettivo ha dato a Branagh, qui in assoluto stato di grazia, l'opportunità di essere l'"eroe". Il suo Iago è talmente bravo, così convincente nei suoi soliloqui rivolti allo spettatore, così infido e subdolo, da portarci a provare simpatia per lui ed empatia per la sua vendetta, rendendoci persino in qualche modo suoi complici. Non soltanto lo Iago di Branagh diventa l'assoluto protagonista, al punto di meritare quasi di dare il nome al film (come farà anni dopo il nostro De Biasi) ma conduce un gioco che Otello subisce completamente.
Come molte opere shakespeariane, malgrado gli attori siano al posto giusto, l’intreccio sapientemente costruito e la tensione emotiva si impenni perfettamente nel crescendo finale, purtroppo anche questo film ha avuto un successo commerciale davvero limitato. Anzi, visto che ha incassato solo un paio di milioni di dollari sugli undici spesi, a voler essere onesti non si può negare che, da un punto di vista commerciale, si possa tranquillamente parlare di fiasco.  -_-
Ma non importa, non è certo il primo film mal distribuito e mal digerito da critica e pubblico che, con gli anni, si scopre essere un autentico capolavoro. Io stesso vi ho presentato diverse pellicole che hanno subito la stessa sorte e che avete giustamente rivalutato ed apprezzato; sono certo che anche questa volta saprete dare il giusto valore all'innovativa opera di Parker ed alla strepitosa prova di un Branagh al suo meglio! :D

mercoledì 15 giugno 2022

Les choristes - I ragazzi del coro

Titolo originale: Les Choristes
Nazione: FRA
Anno: 2004
Genere: Drammatico
Durata: 95'
Regia: Christophe Barratier
Cast: Gérard Jugnot, François Berléand, Jean-Baptiste Maunier, Jacques Perrin, Kad Merad, Marie Bunel

Trama:
Nel 1949 Clément Mathieu, un insegnante di musica disoccupato, trova lavoro presso un istituto di rieducazione per minorenni. Qui si scontra con la dura condizione in cui vivono i ragazzi e con il metodo educativo, particolarmente repressivo, del direttore. Uno dei ragazzi, tra i più difficili e ribelli, ha una voce angelica, cominciando da lui Mathieu cerca di cambiare la loro vita attraverso la musica e...

Commenti e recensione:
Ispirato a, ma praticamente un remake di, La Cage aux rossignols di Jean Dreville, del 1945, questa opera prima di un allora sconosciuto Christophe Barratier (sceneggiatore, regista ed anche autore delle musiche insieme a Bruno Colais) è un assoluto capolavoro del cinema francese moderno. Che poi, moderno per modo di dire perché tutta la costruzione, la regia e l'interpretazione rispecchiano i modelli storici del cinema francese pre Nouvelle Vague, quello di Noel Noel e compagni per intenderci, con il loro Realismo Poetico così vicino, eppure così lontano, da quello italiano.
Bisogna anche ammettere che Barratier "gioca facile" perché il soggetto, la classe di ragazzi più o meno difficili, vanta titoli che vanno da L'attimo fuggente, Addio Mr Chips e Io speriamo che me la cavo e, con la sua trama semplice e lineare, funziona sempre. Non parliamo poi della cornice storica dell'immediato dopoguerra, anni di fame e dolore ma anche speranza per una vita nuova. E poi i francesi hanno sempre saputo sfruttare al meglio i bambini, dai tempi della Guerra dei bottoni in poi.
Insomma, si potrebbe quasi parlare di successo annunciato (perlomeno in patria) se non fosse per il terribile rischio che incombe su questo filone: lo scadere nello stucchevole. Il rischio di diventare il solito campione di umanismo, farcito di buoni sentimenti, che ti prende in ostaggio propinandoti un'ora e mezza di emozioni precotte. Solo la bravura di Jugnot e dei fantastici ragazzi, quasi tutti non professionisti, ha permesso di evitare questo difetto mortale mantenendo il film un'opera pudica, spesso divertente (e a tratti, questo sì, ingenua) ma anche capace di distinguere molto bene tra sentimentalismo e tenerezza. La cinepresa di Barratier, sobria e discreta, senza strafare permette di seguire con commozione i ritmi piani e le psicologie attente, frutti di una sceneggiatura scritta meravigliosamente; grazie ad essa l'incredibile dolcezza degli attori, in un'umanità calda e compassionevole, goffa ed ironica, si esalta nel contrasto con un ambiente ed uno spazio temporale difficilissimi.
E poi c'è la magia della colonna sonora! Quasi magicamente, Barratier riesce a rappresentare la musica non come un'astrazione ma come qualcosa concreto, qualcosa che chiunque può scoprire; non è un caso se Vois sur ton chemin sia stata candidata all'Oscar come miglior canzone, oltre al film stesso come miglior film straniero.
Questa è una pellicola che dovrebbe essere vista da chiunque si occupi di ragazzi, dagli educatori ai maestri ed insegnanti... fosse solo perché chi non si lascia trascinare da Les Choristes non dovrebbe mai fare questi lavori.
Ma anche senza secondi fini, è a tutti che consiglio questo gioiellino, da vedere e rivedere assolutamente! :D

sabato 30 aprile 2022

Barbarossa

Titolo originale: Akahige (赤ひげ)
Nazione: JAP
Anno: 1965
Genere: Drammatico
Durata: 180'
Regia: Akira Kurosawa
Cast: Toshirô Mifune, Yûzô Kayama, Kyôko Kagawa, Yoshio Tsuchiya

Trama:
Sotto la guida del dottor Akahige, un giovane ed ambizioso medico, esperto di teoria ma a zero di pratica, malgrado le difficoltà iniziali impara a conoscere da vicino il dolore, a stabilire un contatto umano, prima che professionale, con i pazienti e...

Commenti e recensione:
Fortemente ispirato da Umiliati e offesi di Dostoevskij, quest'interminabile opera di Kurosawa, suo ultimo bianco e nero, poteva benissimo non essere in costume perché il tema, raccontato tramite una serie di personaggi molto intensi e stupendamente fotografati, è talmente profondo da assumere caratteri universali. Forse proprio per questo venne accusato di essere troppo retorico e molti, ancora oggi, non riescono ad ammetterne l'eccezionale livello artistico ed umano, come se parlare di soggetti così impegnativi, lontani da falsi moralismi, sia quasi un'onta. C'è chi ha provato a dare la colpa allo stesso Mifune (lo fece persino Kurosawa benché, probabilmente, fu per scaricare su di lui lo scarso successo di botteghino; avevano appena litigato) per via della sua interpretazione molto rigida ma Barbarossa, da vero maestro giapponese, è un "duro perché è costretto a farsi carico dell'altrui debolezza", ed infatti i premi vinti per l'oggettiva correttezza stilistica tolgono ogni significato a questa critica. Il limitato successo della pellicola potrebbe invece essere dovuto al tentativo del regista di fondere la purezza di uno stile aulico e rarefatto, come quello de Il trono di sangue, alla realtà povera e degradata già raccontata in Bassifondi, dando nobiltà, onore e dignità a gente in genere negletta e disprezzata, come condannava Victor Hugo nei suoi Miserabili.
Barbarossa ha purtroppo segnato la fine del lungo rapporto tra il regista e Mifune perché, a causa del ben noto rigore di Kurosawa, l'attore fu costretto a tenere la barba per tutti i due anni delle riprese e, non avendo il permesso di usarne una posticcia, non poté girare diversi altri film. D'altronde, il soprannome del protagonista, che da il titolo al film, è aka=rosso e hige=barba ed, effettivamente, la hige di Mifune è venuta bellissima. ^_^
Ho scritto "protagonista" ma in realtà è difficile dire chi lo sia davvero perché qui sono raccolte mille piccole storie, talvolta di pochi secondi ed in secondo piano, tutte importanti, ricche di emozioni e colme di un'intimità dolorosa che, talvolta, si apre in esplosivi squarci di tenerezza. Benché la performance di Toshirô Mifune sia maestosa, quelle di Yuzo Kayama e dei numerosi interpreti secondari sono da incorniciare e, a mio avviso, talvolta persino superiori. Forse perché svincolate dal ferreo controllo di Kurosawa, soprattutto le donne spiccano per la loro presenza così spontanea da sembrare dirette da un'altra mano; ricordano quelle di Ozu o, addirittura, di Mizoguchi.
Questo è uno dei più bei film di formazione mai girati, con un concentrato di serietà, dedizione, vocazione, altruismo, generosità e dignità; Kurosawa ben sapeva che i buoni e nobili sentimenti non sono mai troppi e non ha avuto paura a metterceli tutti perché il suo è un cinema che deve far crescere lo spettatore. Non c'è bisogno di essere nella Sanità (anche se, per chi ci lavora, la visione di questo film dovrebbe essere obbligatoria!) per diventare migliori con Barbarossa, basta solo non farsi spaventare dalla sua lunghezza ed accoglierlo con il profondo rispetto che merita! :D

domenica 20 marzo 2022

Space Station 76

Titolo originale: Space Station 76
Nazione: ITA+ENG
Anno: 2014
Genere: Commedia, Drammatico
Durata: 93'
Regia: Jack Plotnick
Cast: Patrick Wilson, Liv Tyler, Marisa Coughlan, Matt Bomer, Jerry O'Connell, Kylie Rogers, Kali Rocha

Trama:
L'arrivo di Jessica Marlowe, una femminista ambiziosa e per lo più incompresa, ha inavvertitamente scatenato tensioni fra tutti i residenti della stazione spaziale Omega 76. Fino ad allora le cose erano state più o meno tranquille ma ora non basta più il valium prescritto dal medico androide di bordo: i rancori, le passioni e le delusioni sono venute a galla e...

Commenti e recensione:
Questo non è un film di fantascienza!
Scusate se apro la recensione ad "alta voce" ma è indispensabile chiarire subito il perché del fiasco di Space Station 76: chi l'ha visto aspettandosi Guerre Stellari o Star Trek non poteva che restare deluso perché a parte la location, una stazione spaziale appunto, nulla è futuribile.
Si poteva tranquillamente ambientare la storia alle terme (come ), o su una nave da crociera od in un qualsiasi altro "non luogo", limitandosi a caratterizzarlo quel tanto che bastava per non lasciarlo in bianco. Sì, Jack Plotnick ha scelto lo spazio ma, proprio per renderlo lontano dall'ideale fantascientifico odierno (tra l'altro fuori portata, visto il budget), l'ha rappresentato in puro stile "coniugi Anderson", con una ricerca sugli anni '70 assolutamente strepitosa. Per restare nei costi ha dovuto limitarsi ad appena 20 giorni di riprese ed usare strumenti rarissimi, quali l'intelligenza e la fantasia (questi sconosciuti ^_^) e raffinate citazioni alla fantascienza vintage, compreso il ruolo a Keir Dullea, storico protagonista di 2001: Odissea nello spazio. Tutti i personaggi sono recitati perfettamente (incredibile, considerando che per il regista/autore è la sua opera prima!), ognuno capace di rendere tangibili i raffinati dialoghi, le implicazioni psicologiche di un ambiente ristretto e gli assurdi intrighi da stress, tutte sfaccettature poco attinenti alla fantascienza tradizionale.
Ma se non è fantascienza, cos'è allora Space Station 76?
È semplicemente una commedia. Una di quelle commedie ben scritte, con pochi personaggi ma magnificamente caratterizzati, perfetta per un piccolo teatro. Una commedia metà pirandelliana e metà newyorkese. Del Village, per la precisione. Ed è con l'occhio del Village che Plotnick ricrea, splendidamente, una comunità suburbana USA degli anni '70, con l'arredamento svedese, le carte da parati geometriche, le manie, i vizi, i pregiudizi, le droghe ed il terribile gusto nel vestirsi di quegli anni (e posso dirlo perché c'ero XD). I personaggi sono costruiti su una struttura che ricalca gli stilemi degli anni '70 inglesi, quando essere gay era motivo di vergogna, quando le donne erano frustrate perché non potevano realizzarsi, costrette come erano a badare alla famiglia, quando la seduta dallo psicoterapeuta (eterno fornitore di Valium) era il vero momento liberatorio. Di fatto Plotnick ha scritto Astronauti sull’orlo di una crisi di nervi!
Con i suoi toni pacati, nessuna variazione di livello, tutto molto allineato e freddo, persino lento narrativamente parlando, Space Station 76 è un film impegnativo in cui gran parte della storia va intuita, interpretata, assorbita, perché non viene raccontata esplicitamente. Lo so che oggi è una condanna a morte ma questo blog non è vincolato alle esigenze di botteghino e voi non siete i soliti spettatori da cinepanettone quindi non mi preoccupa definirlo un film "intelligente" e, come tale e con l'approccio giusto, davvero meritevole di essere visto! :D

domenica 13 febbraio 2022

La mia Africa

Titolo originale: Out of Africa
Nazione: USA
Anno: 1985
Genere: Drammatico, Sentimentale
Durata: 160'
Regia: Sydney Pollack
Cast: Meryl Streep, Robert Redford, Klaus Maria Brandauer, Michael Kitchen, Malick Bowens

Trama:
Nel 1914, la ricca danese Karen Dinesen sposa con un matrimonio d'interesse il barone svedese von Blixen-Finecke e si trasferisce insieme a lui in Kenya, per occuparsi di una piantagione di caffè. Mentre è in Africa a gestire la proprietà Karen, trascurata dal marito, conosce l'avventuriero inglese Denys Finch-Hatton e si innamora di lui ma...

Commenti e recensione:
Questa è una delle storie d’amore più riuscite della Settima Arte; una storia esile, mai vissuta fino in fondo e sempre delicatamente accennata, sullo sfondo persino quando tragica eppure capace, in pochi dialoghi, di offrire spunti e visioni di coppia raramente cosi profondi. La Blixen, in questa sua autobiografia (di cui trovate lo splendido romanzo nella cartella ^_^) riesce a farci sentire, persino attraverso il filtro dell'interpretazione di Pollack, non solo tutto il senso di solitudine che unisce i due amanti ma persino la paura dell’età che avanza, quel brivido che nasce quando la vecchiaia spaventa più della morte.
I tre meravigliosi vertici del triangolo amoroso sono immensi! Meryl Streep dà corpo, anima e voce ad una donna forte e di carattere ma anche profondamente bisognosa di amore in un mondo transitorio. È così brava che in ogni istante si ha la sensazione che i suoi occhi siano proprio quelli dell'autrice del romanzo. Klaus Maria Brandauer è davvero bravissimo ma è Robert Redford, ormai prossimo ai 50, che scolpisce indelebilmente nella storia del cinema un personaggio dal fascino incommensurabile.
Tutto questo sarebbe abbondantemente sufficiente ma Pollack va molto oltre la componente romantica ed approfitta dell'occasione per sottolineare mirabilmente la distanza tra il mondo occidentale e quello indigeno, rendendo il film ben più di una turbolenta storia d’amore tra due anime ipersensibili ed indipendenti. Fa del film un manifesto all'abbattimento delle barriere mentali, all'apertura a prospettive esistenziali che si svincolino dai legami della civiltà, arrivando persino a rappresentare gli stessi africani quali prede impossibili da raggiungere, spesso incatenate a tradizioni e superstizioni che nessun colonialismo ha scalfitto. In questo ha dimostrato la sua vera arte perché è riuscito, con pochi accenni ed immagini, a rendere perfettamente comprensibile tutto ciò che la Blixen voleva comunicare nel suo libro. Da quelle pagine Pollack ha ricavato un kolossal suggestivo e fluviale, romantico e spettacolare, ravvivato da una fotografia smagliante che si è conquistato ben sette Oscar benché, incredibilmente, nessuno per i tre magnifici interpreti.
La mia Africa è stata capace di incantare ed affascinare trasversalmente diverse generazioni, pur offrendo ben altro è comunque un must del genere sentimentale, classico e prevedibile nel suo sviluppo ma, al tempo stesso, istantanea ovattata e sospesa nel tempo di una terra magica ed ammaliante, teatro di una storia d’amore capace di toccare anche i più duri di cuore. Da vedere? Sicuramente! Oggi! :D



mercoledì 19 gennaio 2022

All That Jazz - Lo spettacolo comincia

Titolo originale: All that jazz
Nazione: USA
Anno: 1979
Genere: Drammatico, Musicale
Durata: 103'
Regia: Bob Fosse
Cast: Roy Scheider, Jessica Lange, Leland Palmer, Ann Reinking, Cliff Gorman, Ben Vereen

Trama: Joe Gideon sta allestendo un grandioso spettacolo per Broadway. Il lavoro sempre più stressante e la sregolata vita privata, lo spingono ad abusare di alcool e di droghe e...

Commenti e recensione:
All That Jazz, uno dei titoli migliori della lunga carriera cinematografica di Bob Fosse, è una sorta di spietato testamento. Fosse è ancora "giovane" (anche se non vivrà altri 10 anni) ma non ha resistito ai richiami del suo narcisismo magniloquente ed autoindulgente a realizzare un film praticamente autobiografico. È un'opera dove parla di se e del suo mondo dello spettacolo, cristallizzandolo in forme oniriche e poco convenzionali, addirittura felliniane (anche grazie alle luci di Giuseppe Rotunno). In effetti Bob Fosse può davvero definirsi un fan del nostro riminese perché già alla fine degli anni sessanta aveva tramutato Le notti di Cabiria nel delizioso musical Sweet Charity e non è eccessivo definire All that jazz una rilettura newyorkese e contemporanea di .
Ad qualsiasi altro regista, una simile ambizione sarebbe costata disprezzo e critiche durissime ma Fosse ha tutte le carte per realizzare il suo sogno: la sua eccezionale esperienza del musical lo rende capace di mostrarci la fatica, il sudore e la caparbietà del suo mondo e la formazione di regista gli permette, con immensa poesia e tecnica, di inquadrare in un film magistrale l’utilizzo della musica e delle complesse coreografie, danzate da un corpo di ballo perfetto.
Ovviamente avere l'opportunità di sfruttare un Roy Scheider in assoluto stato di grazia, per non parlare di una Jessica Lange ancora in erba ma già affascinante, gli ha semplificato il compito perché il film che ha realizzato è magari un inno all'egocentrismo ma, anche grazie a loro, bellissimo e pulsante. Persino il Morandini, di cui di solito non condivido i pareri, scrive "il film offre 2 ore di spettacolo superbo, di ritmo scattante, di energia" ed i quattro meritatissimi Oscar e la Palma d'oro a Cannes (ex aequo con Kagemusha di Kurosawa!) incorniciano degnamente questo capolavoro.
Rimanendo sempre in bilico tra musical e drammatico, elementi autobiografici (e forse premonitori: il regista sarebbe morto a sua volta d'infarto, nell'87) e meccanismi del difficile universo dell’intrattenimento, Bob Fosse firma un caleidoscopico messaggio d'amore che odora di palcoscenico in ogni inquadratura. Da vedere assolutamente! :D

mercoledì 3 novembre 2021

Falstaff

   

Titolo originale: Campanadas de medianoche
Nazione: SPA
Anno: 1965
Genere: Drammatico
Durata: 120'
Regia: Orson Welles
Cast: Orson Welles, Jeanne Moreau, John Gielgud, Marina Vlady, Margaret Rutherford, Fernando Rey, Walter Chiari

Trama:

Falstaff, beffardo, bonario, giullaresco e gaudente, è amico del principe di Galles e quando questi diventa re, con il nome di Enrico V, è convinto d'aver svoltato il suo futuro ma...

Commenti e recensione:
Adattando ben cinque opere di Shakespeare in un solo testo (Enrico IV prima e seconda parte, Enrico V, Le allegre comari di Windsor e Riccardo II) e portandolo prima in teatro e poi al cinema, Welles diede vita ad uno dei suoi personaggi più iconici e memorabili: Falstaff!
Welles si identificava completamente nella grandezza tragica e cialtrona di Falstaff, nella sua capcità di prendere la vita con leggerezza ed anticonformismo e, effettivamente, pare nato per interpretare "quell'enorme collina di carne", non solo per la somiglianza fisica e la voce ricca, sonora e divertente ma anche per l'esperienza di vita condivisa: entrambi vissero troppo a lungo, troppo bene, in continuo contrasto con i poteri della corte e perennemente indebitati.
Il racconto di Welles, malinconico e modernissimo, diventa un film sul potere ed i suoi condizionamenti, sull’amicizia onorata e poi tradita, come in una sorta di amara riflessione autobiografica. Ma non prendetemi troppo sul serio, ci sono ovviamente molte altre possibili chiavi di lettura di questa straordinaria opera così stratificata, ambigua, incontenibile, ariosa, corposa e piena di stimoli, proprio come la realtà e la vita. ^_^
La narrazione è ammantata da un'atmosfera crepuscolare in cui il vitalismo energico e giocoso di Falstaff corrisponde ad una regia altrettanto dinamica ed inventiva (per come utilizza il montaggio, i primi piani e la costruzione delle inquadrature) che si stempera, gradualmente, nella seconda parte lasciando spazio ad una messa in scena più compassata (in cui prevalgono ombre, campi medi ed un uso più parco del montaggio). Un risassuntino tecnico? Tantissime inquadrature, repentini cambi di ottiche, angolazioni al limite dell'impossibile (come le sue esagerate inquadrature dal basso), carrellate, primi piani e piani sequenza, campi e controcampi ed un montaggio ritmico che enfatizza storia e recitazione in modo incredibilmente creativo... soprattutto per nascondere le tante magagne dovute ai pochi mezzi economici. Orson Welles fu attore e regista monumentale ma questo suo decimo film ebbe vita davvero difficile, persino più degli altri. I produttori stavano alla larga dal "genio maledetto" e lui riuscì a malapena a trovare una piccola produzione svizzero-spagnola che, almeno, gli lasciò la liberta che chiedeva. Le riprese vennero fatte in Spagna e per terminarle dovette fare i soliti salti mortali pur di restare nel ridottissimo budget.
Nello sguardo di Falstaff, in uno dei piani ravvicinati più straordinari e toccanti dell’intera storia del Cinema, si scorge (e solo grazie alla bravura di Welles anche come attore) non soltanto il dolore ed il disprezzo (che sono i due sentimenti predominanti) ma anche tutta una serie di emozioni contrastanti come il rammarico e la frustrazione, mischiate a piccole tracce di quell’ironia garbata che caratterizza da sempre il personaggio e, persino, un velo inatteso di riprovazione fatalista, come se fosse stato da sempre intimamente consapevole che, prima o poi, questa sconfitta mista a delusione sarebbe arrivata e avrebbe finito per sconvolgere l’equilibrio della sua fragile esistenza. Chi è il soggetto di questa lunga frase, Falstaff o Welles? Io stesso non saprei più dirlo.
In realtà Orson Welles non amava i primi piani e se il suo Falstaff ne abbonda fu esclusivamente per venire incontro al misero budget che lo costringeva a limitatissime scelte estetiche. Con sole 180 comparse e senza costumi per tutti, avvolse la battaglia di Shrewsbury nella nebbia, girò controluce lunghi piani sequenza che poi smontò e frantumò, con sei settimane di montaggio, in centinaia di stacchi perché, come sempre, Welles non si faceva spaventare dalle ristrettezze economiche e di mezzi. Il risultato furono quei sei minuti di battaglia girati sotto una pioggia torrenziale e nel fango che impediva ogni movimento, minuti che, da soli, bastano a definire l’opera un capolavoro assoluto della settima arte e che incorniciano una scena talmente potente da diventare, a pieno titolo, la sintesi perfetta della concezione wellesiana del cinema.
Purtroppo il film ebbe una limitatissima distribuzione in poche nazioni e fu incompreso anche a Cannes dove, nel 1966, ricevette appena un premio di consolazione. Ma non importa, come Falstaff ricordiamo Welles e la sua opera con infinito affetto ed ammirazione, a decenni di distanza! :D


Oggi abbiamo superato i
sette milioni di visualizzazioni.
 Posso dire solo una cosa:
GRAZIE A TUTTI!!
 

lunedì 21 giugno 2021

Il tamburo di latta

   

Titolo originale: Die Blechtrommel
Nazione: BDR (Germania Ovest)
Anno: 1979
Genere: Drammatico
Durata: 142'
Regia: Volker Schlöndorff
Cast: David Bennent, Mario Adorf, Angela Winkler, Charles Aznavour, Andréa Ferréol, Tina Engel 

Trama:
Oskar, nel giorno del suo terzo compleanno, stomacato dagli adulti decide di smettere di crescere. Il fenomeno fisico, inspiegabile per la famiglia e per i clinici interpellati, viene un poco alla volta accettato ma il mondo, con l'arrivo dei nazisti a Danzica, va avanti e...

Commenti e recensione:
Diretto dal regista Volker Schlöndorff, Il tamburo di latta è la versione cinematografica del celebre romanzo omonimo (che trovate in epub nella cartella) di Günter Grass, considerato uno dei capolavori letterari del secolo scorso. Vent’anni dopo la pubblicazione e con il placet dell'autore (che alla fine collaborò alla sceneggiatura), Schlöndorff ha reinterpretato il romanzo delle avventure del piccolo Oskar regalandoci uno dei film più belli di tutto il cinema tedesco. Sebbene alcune parti siano state rimaneggiate per ridurre le seicento pagine del libro, il film è fedelissimo al testo e ne mantiene, con altrettanta forza, sia il grottesco che l’ironia cruda e violenta delle pagine. La grande magia di Schlöndorff è stata piuttosto quella di riuscire a trarre un fantastico film da un grande libro quando, per esperienza, sappiamo che la delusione è di solito l'unico risultato.
Il tamburo di latta è un film in cui storicità, realtà e finzione si fondono, raccontando un periodo in cui le idee ed i diritti vanno in disfacimento mentre si imprimono, per assurdo simbolismo, nel corpo di un bambino. Nascendo intelligente ma leggermente deforme, Oskar simboleggia la Germania nata da un aborto di idee orripilanti: quelle della razza, della supremazia nazista e della sua follia. Più la storia si evolve e più il legame con la nazione teutonica è evidente eppure, come voleva Grass, Oskar è anche specchio della Polonia e del suo popolo, schiacciato da adulti senza regole e senza raziocinio.
Schlöndorff ha raccontato la storia girando la pellicola in maniera strepitosa e cogliendo tutte le sfumature pensate dal grande scrittore ma è stato enormemente aiutato dalla presenza di un cast eccezionale, come Mario Adorf nei panni di Alfred Matzerath, Angela Winkler, Andrea Ferréol ed francese Charles Aznavour. Sopra a tutti loro, tuttavia, va ricordato un fenomenale, e dodicenne!, David Bennent, talmente maturo nell'interpretare la storia e recitarla senza alcun intralcio da far dubitare costantemente della sua vera età anagrafica.
Il film è grottesco, talvolta comico ma spesso duro ed amaro, pur avendo il divertentissimo incipit del rocambolesco concepimento della madre di Oskar avvenuto mentre la nonna, la figura più positiva all’interno dell’opera, nasconde sotto l’enorme gonna un fuggiasco inseguito dalla polizia. Il ricco simbolismo della storia, paradossalmente, ha il grande pregio di semplificarne il racconto: che bisogno c'è di spiegare nel dettaglio la situazione tedesca dei primi quarant'anni del Novecento quando è tutta descritta e rappresentata nella famiglia Matzerath e nei suoi componenti?
Meritatissimo vincitore della Palma d'Oro a Cannes e dell'Oscar (con la c, questa volta) come miglior film straniero, Il tamburo di latta è uno dei più grandi, e per tantissimi motivi ideologici, dimenticati capolavori della storia del Cinema; non è il mio solito "da vedere", è da ammirare e persino studiare! :D

sabato 15 maggio 2021

Solaris

 

Titolo originale: Soljaris (Солярис)
Nazione: URSS
Anno: 1971
Genere: Fantascienza
Durata: 165'
Regia: Andrei Tarkovsky
Cast: Donatas Banionis, Natalya Bondarchuk, Yuri Charvet, Jüri Järvet, Vladislav Dvorzhetskiy

Trama:
Qalcosa non va sulla stazione scientifica orbitante attorno al pianeta Solaris: dei tre scienziati che vi lavorano, uno si è suicidato e gli altri due danno segni di squilibrio mentale. Ad indagare su quanto sta accadendo viene inviato il dottor Kalvin, uno psicologo di noto valore, ma...

Commenti e recensione:
È inutile e scorretto scrivere una recensione su Solaris quando tanto, e sicuramente meglio, si può trovare online dalla penna dai migliori critici dell'ultimo mezzo secolo. Sono state scritte persino tesi di laurea e io dovrei cercare di dirvi qualcosa di nuovo, diverso e, addirittura, migliore? Non credo proprio. Mi limiterò quindi al minimo sindacale: Solaris è un film filosofico.
Non lasciatevi ingannare dall'etichetta "Fantascienza" che gli è stata incollata, quella è solo l'ambientazione, una scusa per approfondire i concetti di umanità, che ha sempre affascinato Tarkovsky, di essenzialismo, di solipsismo e dei limiti del razionalismo e del cognitivismo. Probabilmente persino la distribuzione russa si è trovata in difficoltà, sia a definire questo capolavoro che a proporlo alle sue masse... senza contare che, tra le varie possibili letture, c'è anche una nemmeno troppo velata critica allo Stato centralista ed oppressivo. Molto meglio affibiargli piuttosto quell'etichetta e presentarlo come "La risposta sovietica a 2001 Odissea nello spazio".
Ci sono, è vero, alcune analogie: entrambi sono film d’autore, entrambi sono aperti a varie possibili letture ed interpretazioni, in entrambi c’è una stazione spaziale circolare. Punto. Nient'altro. In realtà i due film non potrebbero essere più diversi perché in 2001 l’uomo è vittima del cosmo (e forse di sé stesso, tramite la macchina) ma grazie alla forza superiore (il monolito: Dio? L’inesperibile puro?) passa attraverso una sorta di ideale rinascita corporale ed estetica; in Solaris l’uomo è dotato di una psicologia con cui destruttura, distrugge, rovina il proprio destino persino con la memoria, la nostalgia, la Storia, e non rinasce perché indugia nel proprio sconforto interiore da cui non riesce più ad uscire. In pratica, in 2001 l’uomo trascende mentre in Solaris si auto-conclude e si materializza. In 2001, poi, gli uomini hanno principalmente contatto fisico con macchine, mentre in Solaris "l’uomo ha bisogno solo dell’uomo"; e non solo dell’altro uomo ma, soprattutto, di sé e della propria capacità di riflessione, sia nel senso del pensiero sia nel senso dell’immagine speculare. Infine, 2001 sfiora (forse) il filosofico mentre Solaris, beh, lui ci affonda!
Il risultato della fatica di Tarkovsky è un film così "pesante" che non poteva essere capito all’epoca in cui uscì: né da un governo predicante il realismo socialista né, malgrado la lungimirante giuria che lo premiò a Cannes, da un Occidente mercantile. Quando il titolo arrivò da noi, De Laurentiis e Dacia Maraini lo squartarono e ne tagliarono più di 40 minuti cercando di ottenere una versione commercialmente, e filosoficamente, più vendibile (come tagliare un quarto della Gioconda ಠ﹏ಠ); ancora oggi la versione integrale che vi propongo non è interamente doppiata, a riprova di quanto sia vergognosa la nostra distribuzione.
Non importa, il film è ormai integro ed è così che voglio proporvelo, un capolavoro profondissimo e, visto l'orrendo remake del 2002, palesemente irripetibile, da guardare più e più volte per provare a cogliere tutte le sfumature che il poco compreso Tarkovsky ci ha messo o trovane altre, perché ognuno di noi ci metterà le sue. ^__^
Avevo ragione all'inizio dell'articolo: non dovevo scrivere una recensione perché Solaris è come la vita, un film che va visto, vissuto, amato e, solo forse, compreso come solo i grandi capolavori meritano! :D

venerdì 4 dicembre 2020

Il seme della follia


Titolo originale: In the Mouth of Madness
Nazione: USA
Anno: 1994
Genere: Horror, Drammatico, Fantastico
Durata: 103'
Regia: John Carpenter
Cast: Sam Neill, Charlton Heston, Julie Carmen, Jürgen Prochnow, Hayden Christensen

Trama:
John Trent, investigatore privato, viene incaricato di ritrovare uno scrittore di best-seller dell'orrore misteriosamente scomparso. Il detective finisce coinvolto in una vicenda in cui la realtà si confonde pericolosamente con la fantasia e...  

Commenti e recensione:
Nel 1994 John Carpenter costruisce uno degli horror più lovecraftiani di sempre, ben oltre le opere di Roger Corman o Lucio Fulci, dove l'incubo dà prova di poter esistere al di fuori della ragione, senza dare risposte né spiegazioni, e sostituirsi al reale. Il Seme della Follia non è un film di mostri, né di alieni o d'assassini, non è un horror psicologico, è una storia dell'orrore nella sua interpretazione più pura ed alta, dove l'obiettivo non è la paura ma la sovversione delle certezze dell'uomo e del suo personale concetto di realtà. Carpenter non vuole farci distogliere lo sguardo o gridare di terrore, sarebbe troppo facile: ci cala nell’incubo e ci destabilizza, attrae la nostra attenzione mentre ci distoglie dal mondo circostante costringendoci, in quanto spettatori, a domandarci se siamo ancora tali o se, ormai, facciamo parte anche noi della sceneggiatura.
Quella che doveva essere poco più di una tesina, benché meravigliosamente macabra, dell'opera di Lovecraft (con più di qualche strizzatina d'occhio a Stephen King!) è diventata un perfetto incubo, assolutamente sclaviano negli intenti, su celluloide, ricco di discorsi metaletterari e metacinematografici meravigliosamente messi in scena, una di quelle pellicole che non può invecchiare, esattamente come i racconti a cui fa riferimento perché interconnessi ai pilastri della nostra stessa psiche.
Ci sono tanti altri nomi in questo cast, alcuni davvero illustri, ma l'Intrprete con la maiuscola è, senza alcun dubbio, Sam Neill: questa è, probabilmente, la performance della sua vita! Titanicamente s’impossessa del miglior personaggio offertogli nella sua altalenante, discontinua eppur brillante carriera d’attore, aderendovi ineccepibilmente ed infondendogli, grazie alle sue mille raffinatissime sfumature espressive, un’ambiguità sulfurea. Dopo la sua interpretazione nessun altro potrà vestire i panni di John Trent, uomo freddo e razionale che si ritrova catapultato in una situazione surreale e fuori controllo.
Snobbato dal pubblico e non capito dalla critica al momento dell’uscita nel '94 (fu un flop commerciale così pesante che creò seri problemi al prosieguo della carriera del regista), pur attendendo ancor oggi una piena rivalutazione Il Seme della Follia rimane una pietra miliare per il genere e, cosa più importante, un titolo fondamentale per chiunque ami i film veramente in grado di sconvolgere la mente dello spettatore. È un film tesissimo, apocalittico e folle, da vedere almeno una volta nella vita e, una volta fatto, da rivedere ancora ed ancora! :D

 

sabato 21 novembre 2020

Il curioso caso di Benjamin Button


Titolo originale: The Curious Case of Benjamin Button
Nazione: USA
Anno: 2008
Genere: Drammatico
Durata: 159'
Regia: David Fincher
Cast: Brad Pitt, Cate Blanchett, Tilda Swinton, Julia Ormond, Jason Flemyng, Taraji P. Henson

Trama:
Benjamin Button nasce il giorno della fine della prima guerra mondiale, è un bimbo in fasce ma ha la salute di un novantenne: artrite, cataratta, sordità. Dovrebbe morire il giorno dopo e invece più passa il tempo più ringiovanisce. La sua è una vita al contrario che attraversa il Novecento americano e...  

Commenti e recensione:
C'è molto Forrest Gump in questo Benjamin Button e non è un caso: benché ispirato da un bellissimo racconto di Francis Scott Fitzgerald (che trovate in ebook nella cartella), il soggetto è stato scritto da Eric Roth che, oltre a tanti altri capolavori, firmò anche quel copione per Zemeckis. Raccontando, come in Forrest, un secolo di storia americana, anche qui tutti gli eventi, gli incontri, le gioie ed i dolori del protagonista servono a forgiarne il carattere, in purissimo stile romanzo di formazione... benché per Button tutto si svolga non tanto "al contrario" quanto in modo "diversamente diritto".
David Fincher, dopo pellicole angoscianti come Seven o Panic Room, è alla sua prima esperienza con un film più profondo e se la cava benissimo girando quella è, tra l'altro, una delle love story più romantiche degli ultimi anni. Rispetto ai thriller del passato modifica completamente il suo stile di ripresa ed usa la macchina con più calma, meno frenesia, quasi fosse soltanto un osservatore, rendendo tutto più studiato e rilassato; si nota davvero che la sua formazione non è certo autodidatta! Per riportare al meglio la realtà del personaggio, ha utilizzato la tecnica della motion capture permettendo ad un bravissimo Brad Pitt di vestire i panni di Button da anziano a giovane, mentre i truccatori (Pitt si sottoponeva a ben 5 ore di make-up) impazzivano a seguire i suoi ordini; non è per caso se il film si è aggiudicato l’Oscar (aveva ben 13 candidature!) anche per questa categoria. Non basta comunque la tecnica a rendere grande un film e la fortuna de Il Curioso Caso sboccia nella splendida alchimia creatasi tra Pitt e l'altro modello di bellezza, Cate Blanchet! Come coppia, riempiono il film di fascino ed attrattiva mentre il loro legame ed i loro volti mutabili e sinceri catalizzano irrimediabilmente l'attenzione dello spettatore.
Sebbene il film sia oggettivamente lungo (deve pur sempre raccontare un'intera epoca!) non appesantisce mai lo spettatore: grazie ad una rappresentazione estetica impeccabile, con costumi perfettamente attinenti all'epoca di riferimento ma stilizzati quel tanto da mantenere un candore da fiaba, ed alla toccante colonna sonora che trasforma le note in versi e le tracce in poesie, il trasporto è totale.
Il curioso caso di Benjamin Button solleva dubbi esistenziali senza mai tediare e lo fa tracciando una linea simmetrica che parte dalla nascita di un uomo sino ad un momento prima della sua morte; estremi di vita che, si dice, condividono la stessa tenerezza e sensibilità e che Fincher racconta, con gusto squisito, come una bellissima favola.
Da vedere senz'altro! :D

martedì 27 ottobre 2020

Tideland - Il mondo capovolto


Titolo originale: Tideland
Nazione: UK
Anno: 2005
Genere: Drammatico
Durata: 122'
Regia: Terry Gilliam
Cast: Jodelle Ferland, Jeff Bridges, Janet McTeer, Brendan Fletcher, Jennifer Tilly

Trama:
Alla morte per overdose di sua madre, l'undicenne Jeliza-Rose lascia la casa di Los Angeles insieme al padre Noah, un ex musicista rock fallito ed anche lui tossicodipendente, per una vecchia casa in mezzo alla campagna. Qui, alla morte del padre, la piccola inizia una nuova vita circondata da bizzarri personaggi, a metà tra sogno e fantasia, e...  

Commenti e recensione:
Terry Gilliam è forse il più grande regista onirico vivente, capace di rappresentare il sogno e l'incubo, nonché tutte le sfumature intermedie. Alcune sue opere propendono più verso l'immaginario lieve ma non questa, compagna ideale di Paura e delirio a Las Vegas. C'è un breve messaggio di Gilliam, che troverete nella cartella ed è da vedere prima del film, che serve per entrare nell'ottica giusta del suo lavoro più complesso: Tideland è la volontà del regista di entrare direttamente nel cervello della piccola protagonista in modo da filtrare tutte le atrocità del reale attraverso la sua innocenza. Una volta capito che è questa la chiave di lettura, l'obbiettivo riesce alla perfezione perché si ha davvero l’impressione che le fantasie prodotte dalla bambina costituiscano una sorta di "scudo" che la protegge, come noi, dai pericoli della realtà squallida e costellata di pericoli in cui è immersa. Personalmente trovo che si tratti di un fallimento comunicazionale perché dover spiegare, a cose fatte, come vada interpretato un film ritengo sia il peggior errore che possa fare un regista, anche se si chiama Terry Gilliam. Detto questo, una volta imboccato il giusto binario il film è strepitoso!
Tideland è un film anarchico ed onirico ma anche doloroso e, in molti casi, persino disgustoso pur essendo uno sguardo infantile sull'infanzia, età cara al regista perché sede principale ed irripetibile di quei deragliamenti dell'immaginazione di cui si compone tutto il suo cinema. A livello registico i vari piano sequenza, il caratteristico ondeggiare della camera ed i giochi di prospettive riescono nell'intento di ricreare uno psicotico Alice nel paese delle meraviglie, anche grazie all'ennesima prova d'autore di Nicola Pecorini, davvero straordinario nei colori. Iconograficamente è una fiaba nera, molto ricca e provocatoria. C'è dentro Carroll ma anche Psycho di Hitchcock, testoline semi-Barbie surrealiste di Švankmajer, Buñuel del Cane andaluso e Walt Disney, l'adorato maestro di Gilliam (che è nato cartoonist) nello scoiattolo parlante; il tutto in un clima falsamente da Zazie di Queneau filtrato proprio da Pecorini con aggiunta fish-eye, dinamismo sublime da steady-cam fuori bolla ed un bel po' di acido lisergico.
Per quanto concerne il cast, Tideland può contare su pochissimi attori ma veramente capaci di rendere tutto surreale e visionario. Spicca la prestazione di Jodelle Ferland, di cui Gilliam è visibilmente innamorato, che restando sempre in scena riesce a rendere benissimo la parte della bambina innocente ma con velati stralci si schizofrenia (sopratutto nelle scene dei suoi dialoghi con le teste mozze delle bambole), eccezionale nel camminare sul filo tra l'essere insopportabile oppure irresistibile. L'affianca un grande Brendan Fletcher che evita, con naturalezza prodigiosa, il ridicolo involontario che rischiano tutti i ruoli che prevedano handicap mentali. Per qualche strana anomalia, l'attore più famoso, quel Jeff Bridges notoriamente feticcio di Gilliam che qui ci regala una sorta di Drugo Lebowski andato a male, risulta essere decisamente poco sfruttato (la maggior parte del tempo è morto) però quando recita è veramente degno della sua fama.
Tideland è un film senza compromessi, allo stesso tempo crudele e tenero, poetico e scandaloso, maturo ed infantile, che affronta temi profondi (eroina, anoressia ed overdose, terrorismo, necrofilia e putrefazione della carne, petomania, pedofilia e violenza ai minori, follia, lobotomia ed esoterismo) con la leggerezza di una favola, gridando un grade SÌ alla vita. Ma attenzione! Tutto questo è vero solo se si accettano le premesse di Gilliam, altrimenti la caduta non sarà quella lieve e poetica di Alice nella tana del coniglio ma quella del dannato che sprofonda nei gironi infernali. Visto nel modo giusto è un'avventura emozionante ed unica, un viaggio alla scoperta di un modo di guardare la realtà che credevamo d'avere dimenticato per sempre, quindi è da vedere assolutamente... ma senza sbagliar binario! :D

sabato 27 giugno 2020

Quadrophenia


Titolo originale: Quadrophenia
Nazione: UK
Anno: 1979
Genere: Drammatico
Durata: 115'
Regia: Franc Roddam
Cast: Phil Daniels, Leslie Ash, Phil Davis, Mark Wingett, Sting, Ray Winstone

Trama:
I Mods e i Rockers, le due principali bande giovanili britanniche degli anni '60, si preparano al gran giorno in cui si scontreranno, alla spiaggia di Brighton, senza esclusione di colpi. Jimmy è un mod duro e puro, veste un parka, guida una lambretta, ascolta rhythm and blues e cura il proprio taglio di capelli. Dentro di sé la rabbia, pronta ad esplodere, è alimentata dall'odio per un mondo incapace di comprenderlo e...

Commenti e recensione:
Per molti, Quadrophenia non è per niente un capolavoro.
Visto a distanza di tanti anni, ci si rende conto di quanto il film non sia pienamente riuscito: non ha una bella sceneggiatura, gli argomenti sono poco approfonditi, gli stati d’animo dei personaggi non vengono ben delineati, è discutibile il doppiaggio e, inoltre, Sting attore è inguardabile.
Eppure...
Quadrophenia è un cult movie. Uno di quei film usciti nel momento storico giusto, con la storia giusta e la colonna sonora perfetta!
Quadrophenia è un film generazionale, indissolubilmente legato ad un’epoca e ad un movimento di controcultura, o di subcultura, come quella dei Mod, tanto da esserne il manifesto e merita di essere giudicato in valore assoluto. Vederlo con gli occhi di oggi ci permette di valutarne i meriti artistici ma è sbagliatissimo, se non impossibile, svincolarlo dalla sua capacità di cogliere l’essenza di una generazione. Non è un caso se Quadrophenia si pone, già alla sua uscita in sala, come un’operazione nostalgica, impregnata di un senso forte di disillusione e di fine di un’era, incarnata dal finale del film.
Il valore archetipico di Quadrophenia sta proprio nella rappresentazione dell’idealismo dei Sixties, di quella rabbia adolescenziale, dell’esclusione e del fallimento, di quell’energia giovanile, dei ribelli senza causa, un filo conduttore che passa anche per i biker di Easy Rider e gli adolescenti "disturbati" di Cronache della bicicletta di Wakamatsu. Uno spirito di ribellione, un anelito a rompere i muri, un’insofferenza verso le autorità: il ministro che si sente al giornale radio, i genitori, il padre in canottiera, i datori di lavoro che realizzano spot pubblicitari patinatissimi, sono tutti l’immaginario vuoto del mondo borghese. È un crudo spaccato della generazione inglese degli anni ’60 (che poi sarà quella dei '70 nostrani) che si divideva fra i Mods, giovani ben vestiti sotto all'immancabile parka che guidavano scooter italiani come Lambretta e Vespa, ed i Rockers, seguaci del rock and roll americano anni ’50 dai giubbotti in pelle e le grosse motociclette. Una generazione che l’esordiente regista Franc Roddam non miticizza ma di cui, anzi, sottolinea l’assenza di ideali ed ambizioni e la vacuità delle loro azioni. Stili di vita da ribelli che non conducevano a niente, come constata sulla propria pelle il protagonista.
Quadrophenia è la seconda operazione cinematografica degli Who e voleva essere più controllata e personalizzata del Tommy del 1975. Con la sua uscita nel 1979, si colloca in un doppio distacco: sei anni dopo l’album omonimo (che è del ’73) ed ambientato quindici anni prima, all’incirca nel 1964, all’apice del movimento dei Mod, in contemporanea con i primi successi degli Who, che hanno interpretato quel movimento diventandone i portabandiera. Il maggior controllo è reso possibile, paradossalmente, anche dalla ricchezza ottenuta proprio dai proventi delle royalty del film di Ken Russel.
Quadrophenia è cucito sui nuovi gusti dei propri fan e si pone apertamente come un anti-Tommy, non più un musical stilizzato classico, con i numeri canori eseguiti dai personaggi fuori dal "recitativo", quanto piuttosto un film di narrazione puro dove però la musica assume un ruolo fondamentale.
A fine pellicola, o alla fine della sua ennesima visione, Quadrophenia è certamente molto più di un semplice "buon film", è la perfetta commistione di musica e tendenze culturali, spaccato della condizione giovanile di quegli anni ed osservatorio privilegiato su un mondo che, malgrado tutto, ha saputo reinventarsi e, forse, progredire. Forse.
Inutile soffermarsi oltremodo sulla colonna sonora, divenuta leggendaria. La trovate nella cartella insieme all'album originale che fu, a mio avviso, l’album più "Who" di qualsiasi altro lavoro degli Who. È molto più complesso di quello che può apparire ad una prima e superficiale lettura ed è, come questo film, da godere ed amare intensamente! :D

domenica 7 giugno 2020

Missing - Scomparso


Titolo originale: Missing
Nazione: USA
Anno: 1982
Genere: Drammatico, Giallo
Durata: 112'
Regia: Costa-Gavras
Cast: Jack Lemmon, Sissy Spacek, Melanie Mayron, Janice Rule, John Shea

Trama:
Charles, giovane statunitense che abita in un paese dell'America Latina con la moglie Beth, si è sempre interessato alle condizioni sociali e politiche locali ma, durante un sanguinoso glope, scompare. Il padre, uomo d'affari di New York ricco di contatti, prova a risolvere la situazione ma quello che scopre...

Commenti e recensione:
Capolavoro assoluto di Costa-Gavras, Missing è la sintesi perfetta dei suoi migliori film precedenti: la passione polemica di Z, la sapiente direzione degli attori de La Confessione, il linguaggio controllato, ma al tempo stesso vivace e teso, de L'Amerikano e la capacità di spaziare oltre gli orizzonti della cronaca dell'Affare della sezione speciale. Il film è accuratamente dosato, indirizzandosi contro i burattini (Pinochet e camerati) ed i burattinai (Wall Street e la sua appendice di Washington D.C.) ma è la bravura del regista come sceneggiatore (che gli varrà un Oscar) a fondere alla Storia, come sottotrama, il dramma della famiglia dello "scomparso" Charles Horman, spingendo il pubblico ad una totale immedesimazione nei personaggi. Eccezionali le prove dei due interpreti principali, entrambi candidati all’Oscar: Sissy Spacek è bravissima nel combinare la fragilità e la determinazione della sua Beth, mentre Jack Lemmon, premiato come miglior attore al Festival di Cannes (raro caso in cui Hollywood e l'Europa si sono trovate d'accordo), ci offre un ritratto indimenticabile e struggente dell'anziano padre aggrappato alla speranza di riabbracciare il figlio. La colonna sonora, adattissima, è composta da Vangelis. Se non fosse per la verità storica che racconta, lo si potrebbe guardare anche solo come un meraviglioso ed inquietante giallo a sfondo politico e godere della magnifica interpretazione di un eroe comune, carico di sete di verità e giustizia benché spronato solo da un bisogno intimo personale e non da alti scopi o nobili principi umanitari.
Invece è una storia vera, anche se volutamente criptata per evitare il più possibile che, per qualsiasi cavillo legale, l'opera subisse censure. Il risultato è di grande impatto sociologico ed emotivo, coerente nel messaggio di una denuncia condotta a doppio livello: gli orrori di un Cile tristemente destinato alla dittatura e le ipocrisie del sistema governativo americano, con annesso (e disturbante) scardinamento del concetto stesso di democrazia. Missing, prodotto paradossalmente con i dollari delle multinazionali, esce mentre Reagan inasprisce la tradizionale politica anti-cubana, medita vendette contro il Nicaragua, punisce i guerriglieri del Salvador e copre il tutto con la polvere afghana. L'obbiettivo, centratissimo, di Costa-Gavras è di spiegare ai borghesi dell'una e dell'altra Coast ed alle massaie del Mid West, meglio, di più e più in fretta, gli orrori di un'epoca che la stampa, in un mondo pre-internet, proprio non sa raccontare.
Un film da non perdere, lucido, vero e forte! :D

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